6 differenze tra professionisti e dilettanti

Specializzazione. Un professionista ha un raggio d’azione ristretto: ciò gli permette di approfondire costantemente le proprie conoscenze e di concentrarsi sull’obiettivo. Trattare dieci argomenti non correlati fra loro significa non acquisire una reale competenza in nessuno di essi.

Accuratezza. Un professionista traduce il senso, non le parole: non ha alcuna paura di trasformare una costruzione negativa in affermativa,unire frasi o spezzarle per migliorare la fluidità del testo ed eliminare i calchi senza alcuna pietà. Un testo tradotto parola per parola è il primo indicatore del fatto che il traduttore è più concentrato sulla produzione che sulla qualità.

Esperienza e formazione.Una laurea aiuta, ma non è indispensabile. L’esperienza è più importante: da quanto tempo lavora quel traduttore? Che tipo di testi traduce? Ha ricevuto dei feedback positivi dai suoi clienti? Potete starne certi: per essere un buon traduttore non è necessario un curriculum di dieci pagine, ma è pur vero che alcuni risultati si raggiungono solo con l’esperienza.

Tariffe. Un professionista sa quanto vale il proprio lavoro, e non ha paura di chiedere un extra per le urgenze o di abbassare le tariffe in caso di grossi volumi.

Onestà. Un professionista può usare la traduzione automatica come bozza, ma in tal caso si parla di “post editing”– e non più di “traduzione”. È un’attività diversa, che implica tariffe,requisiti e metodi di lavoro diversi. Un professionista non consegna un lavoro di post-editing spacciandolo per una vera e propria traduzione: non è etico, e comunque si nota immediatamente.

Comunicazione. Un professionista è in costante contatto con il cliente. Fa domande, propone nuovi termini da inserire nei glossari e segnala se il testo originale presenta qualche falla. Se è in ritardo con la consegna se ne assume la responsabilità e avvisa subito il cliente, provando a trovare insieme a lui una soluzione.

 

Fonte: Articolo scritto da Nadia Hidalgo Diaz e pubblicato il 17 ottobre 2017 sul blog di Smartcat

La traduzione: un tuffo nella cultura

Cosa si cela dietro l’apparentemente semplice atto del tradurre? Non si tratta, ovviamente, della mera trasposizione di un testo da una lingua all’altra, ma di un’attività che esula dalla mera dimensione linguistica per approdare a un universo molto più ampio, nel quale stabilire connessioni non solo tra sistemi di segni, ma anche – ed è questa una condizione necessaria – tra culture.

Alla luce di questa profonda relazione non è possibile parlare di mediazione linguistica senza prevedere l’attività complementare di mediazione culturale. Il termine “mediazione” suggerisce l’idea della traduzione come strumento per favorire l’incontro tra sistemi linguistici e culturali, il che consente in ultima istanza l’incontro tra popoli. Non stupisce, pertanto, che uno dei più famosi episodi di traduzione della storia dell’umanità già presentasse tali caratteristiche. Ci spostiamo al XVI secolo in terra messicana, quando una schiava azteca di nome Malinche, venduta in giovane età alla popolazione Maya, viene a sua volta ceduta agli Spagnoli di Cortés e, appresane rapidamente la lingua, diventa traduttrice ufficiale tra Conquistadores e Conquistados, i quali trovano così nella Malinche lo strumento per abbattere il grande muro che si frapponeva tra di loro, vale a dire l’impossibilità di comunicare.

Nei secoli a seguire l’ufficio del traduttore si è consolidato sempre più, sino ad arrivare ai giorni nostri, quando la necessità di comunicare in un mondo altamente globalizzato è attestata dal lampante successo riscosso dalle agenzie di traduzione.
Cosa è richiesto, dunque, al moderno traduttore? Chiaro, un’ottima padronanza della lingua di partenza e della lingua meta è un requisito fondamentale, senza il quale è pressoché impossibile cimentarsi in un qualunque incarico traduttivo. Tuttavia, una solida base linguistica, per quanto auspicabile e a dir poco irrinunciabile, non è tutto. Vi sono, infatti, competenze addizionali da tenere in considerazione, le quali distinguono il lavoro ragionato e ponderato di un animale pensante – secondo la definizione aristotelica – dal lavoro povero e freddo di un sistema di traduzione automatica via web. Tenendo ben chiaro il valore di una traduzione “umana” da parte di un professionista del mestiere, occorre poi considerare che ogni ramo del sapere, ogni ambito di specializzazione, richiede ovviamente una soddisfacente preparazione nel campo tematico in questione, sia questo medico, economico, giuridico e via dicendo. Nel post di domani farò alcuni esempi concreti.

Autrice dell’articolo:
Silvia Alabardi
Dott.ssa in Lingue e Culture per la Comunicazione e la Cooperazione Internazionale
Traduttrice ES-EN-FR>IT

Una poesia di Lucian Blaga

 

 

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Io non calpesto il fiore delle meraviglie del mondo

e non uccido

con la mia mente i misteri che incontro

sulla mia strada,

nei fiori, negli occhi, sulle labbra o nei sepolcri.

L’altrui luce

uccide la magia dell’impenetrabile nascosto

nelle profondità del buio,

ma io,

io, con la mia luce, accresco  il segreto del mondo –

e come la luna con i suoi splendenti bianchi raggi

che non diminuisce, ma tremante

aumenta sempre più il mistero della notte.

così, anch’io arricchisco  l’oscuro orizzonte

con tremori di un santo mistero

e tutto l’incomprensibile

si trasforma in un ancora più incomprensibile

sotto il mio sguardo –

perché io amo

anche i fiori e gli occhi e le labbra e i sepolcri.

La traduzione: un tuffo nella cultura

Cosa si cela dietro l’apparentemente semplice atto del tradurre? Non si tratta, ovviamente, della mera trasposizione di un testo da una lingua all’altra, ma di un’attività che esula dalla mera dimensione linguistica per approdare a un universo molto più ampio, nel quale stabilire connessioni non solo tra sistemi di segni, ma anche – ed è questa una condizione necessaria – tra culture.

Alla luce di questa profonda relazione non è possibile parlare di mediazione linguistica senza prevedere l’attività complementare di mediazione culturale. Il termine “mediazione” suggerisce l’idea della traduzione come strumento per favorire l’incontro tra sistemi linguistici e culturali, il che consente in ultima istanza l’incontro tra popoli. Non stupisce, pertanto, che uno dei più famosi episodi di traduzione della storia dell’umanità già presentasse tali caratteristiche. Ci spostiamo al XVI secolo in terra messicana, quando una schiava azteca di nome Malinche, venduta in giovane età alla popolazione Maya, viene a sua volta ceduta agli Spagnoli di Cortés e, appresane rapidamente la lingua, diventa traduttrice ufficiale tra Conquistadores e Conquistados, i quali trovano così nella Malinche lo strumento per abbattere il grande muro che si frapponeva tra di loro, vale a dire l’impossibilità di comunicare.

Come-tradurre-una-canzone-online-e-pubblicarla

Nei secoli a seguire l’ufficio del traduttore si è consolidato sempre più, sino ad arrivare ai giorni nostri, quando la necessità di comunicare in un mondo altamente globalizzato è attestata dal lampante successo riscosso dalle agenzie di traduzione.
Cosa è richiesto, dunque, al moderno traduttore? Chiaro, un’ottima padronanza della lingua di partenza e della lingua meta è un requisito fondamentale, senza il quale è pressoché impossibile cimentarsi in un qualunque incarico traduttivo. Tuttavia, una solida base linguistica, per quanto auspicabile e a dir poco irrinunciabile, non è tutto. Vi sono, infatti, competenze addizionali da tenere in considerazione, le quali distinguono il lavoro ragionato e ponderato di un animale pensante – secondo la definizione aristotelica – dal lavoro povero e freddo di un sistema di traduzione automatica via web. Tenendo ben chiaro il valore di una traduzione “umana” da parte di un professionista del mestiere, occorre poi considerare che ogni ramo del sapere, ogni ambito di specializzazione, richiede ovviamente una soddisfacente preparazione nel campo tematico in questione, sia questo medico, economico, giuridico e via dicendo. Nel post di domani farò alcuni esempi concreti.

Autrice dell’articolo:
Silvia Alabardi
Dott.ssa in Lingue e Culture per la Comunicazione e la Cooperazione Internazionale
Traduttrice ES-EN-FR>IT
Jerago (Varese)

11+2=12+1

Franco Nasi, saggista e traduttore, insegna Letteratura italiana contemporanea e Teoria della traduzione all’Università di Modena e Reggio Emilia. Ha tradotto poeti contemporanei americani e inglesi fra cui Roger McGough e Billy Collins. Sulla traduzione ha scritto Poetiche in transito(Milano 2004), La malinconia del traduttore (Milano 2008), Specchi comunicanti (Milano 2010). Con Angela Albanese ha curato I dilemmi del traduttore di nonsense (Ravenna 2012).

Franco Nasi

L’equivalenza che si vede nel titolo è ovvia. Ma se la pronunciamo in inglese (Eleven plus two is Twelve plus one) anziché in italiano (Undici più due è Dodici più uno) ci accorgiamo, forse, che fra le lettere succede qualcosa di diverso: Eleven plus two è legato a Twelve plus one dal vincolo dell’anagramma. Si potrebbe trattare di una curiosa coincidenza e la cosa finirebbe lì. Ma se quella “doppia” equivalenza inglese fosse anche un verso di una poesia che ha
come titolo Anagrammer, e noi fossimo chiamati a tradurla, la curiosa coincidenza diventerebbe immediatamente un bel rompicapo.

La poesia di Peter Pereira, poeta americano dell’Oregon, si trova in un’antologia curata da Billy Collins intitolata 180 more. Extraordinary Poems for Every Day (Random House, 2005) e rivolta in particolare ai giovani delle scuole superiori americane. Inizia così:

If you believe in the magic of language,

then Elvis really Lives

and Princess Diana foretold  I end as car spin

Credo che a qualunque traduttore venga voglia almeno di provarci. Io ci ho provato, ma poi, quasi subito, davanti all’anagramma della principessa Diana che prevede di morire a bordo di un’auto in testa-coda mi sono arreso. Però siccome non credo che esistano traduzioni impossibili, ho scritto a Stefano Bartezzaghi. Nella traduzione, come in quasi ogni altra cosa, basta chiedere alle persone giuste. Due giorni dopo la sua immancabile risposta, con la traduzione di tutta la poesia, pubblicata in seguito integralmente sulla rivista “Hope” (n. 15, 2008, pp. 42-43). Nella lunga e sorprendente sequela di soluzioni, Bartezzaghi proponeva anche la versione italiana dell’equivalenza numerica: Tredici più otto è Diciotto più tre. Come succede spesso quando si leggono le traduzioni di frasi apparentemente impossibili si resta sorpresi della ovvietà della soluzione. È sempre così. Però il più è trovarle. Chapeau.

Qualche tempo fa mostrai la poesia di Pereira e la traduzione di Bartezzaghi a un gruppo di studenti, raccomandando loro di tenere a mente la traduzione dell’anagramma aritmetico come cosa simpatica da raccontare, come monito a non deporre mai le armi di fronte a una traduzione estrema, e comunque a pensare sempre che il fatto di non riuscire a tradurre non significa che qualcun altro non possa farlo. Una settimana dopo, al termine della lezione, una studentessa, Rexhina Dibra, con fare un po’ impacciato, quasi vergognandosi, mi disse che a casa, ripensando alla traduzione di Bartezzaghi, aveva notato che Eleven plus twoè formato da 13 lettere, e che questo numero è anche la somma di 11 e 2, mentre in italiano Tredici più otto è formato da 14 lettere e la somma è 21. Quindi, forse,  nella soluzione non venivano rispettati tutti i vincoli, intenzionali o meno che fossero. Questi sono i momenti in cui un insegnante si sente da un lato disarmato perché non sa proprio che cosa dire, dall’altro gratificato dal constatare che è riuscito a fare entrare qualche tarlo nella testa degli studenti. Nuovo consulto con Bartezzaghi, e nuova soluzione che tiene conto dei due vincoli: Il tredici sommato a otto (21 lettere) è Il diciotto sommato a tre. L’obiettivo è raggiunto con l’inclusione di un paio di zeppe (come le chiamano i poeti).

Di recente ho raccontato la complessità crescente dell’esercizio traduttivo a un incontro sulla traduzione alle Murate di Firenze. La sera a casa ho ricevuto una mail da una persona, a me sconosciuta, presente all’incontro. Con la stessa discrezione con cui la studentessa mi aveva fatto presente l’ulteriore vincolo, Silvia Rogai, una giovane e bravissima traduttrice, mi faceva notare che la soluzione con le zeppe era acuta, ma meno fluida dell’originale. Insomma, zoppicava, perdeva ritmo e immediatezza.  “Così – mi scrive – mi è venuta in mente un’altra soluzione, senza niente togliere ovviamente al grande Bartezzaghi: Quattordici più tre è Tredici più quattro. 14+3 è anagramma di 13+4 in italiano, e la loro somma è 17, come il numero di lettere che compongono la somma. Doppio chapeau.

Mi piace constatare che si è arrivati a questa soluzione brillante e semplice in un ex convento e poi ex carcere ora trasformato in luogo di incontri culturali (le Murate di Firenze). Anche perché la traduzione è monacale e si fa spesso in solitudine, ma è anche conventuale e per essenza dialogica: monastero-convento; ha a che fare con i vincoli, con i ceppi che venivano messi alle caviglie dei prigionieri (captivus è il termine latino per prigioniero), ma anche con quel rigore e quella cattiveria che, come nota Stefano Bartezzaghi, è anagramma di “creatività”.

 

P.S. Ho scritto al poeta americano Peter Pereira raccontandogli la storiella della traduzione dell’anagramma e chiedendogli se si fosse accorto della coincidenza fra il risultato della somma e il numero di lettere che compongono Eleven plus two. Come immaginavo, la sua reazione è stata di sorpresa: “I had no idea… Amazing”. A riprova forse del fatto che i testi vivono di vita propria.

 

 

©Franco Nasi

Il traduttore come esportatore di essenze

Il darsi della socialità è essenzialmente il darsi di un linguaggio. Che sia un linguaggio dotato della parola oppure no, non cambia molto. Ciò che è il nocciolo della questione è la necessità di comunicare qualcosa. Questo qualcosa che desideriamo comunicare è sempre parte integrante della nostra identità personale, tant’è che anche nel caso in cui sia presente il linguaggio propriamente detto, cioè quello dotato della forza simbolica della parola, la comunicazione è sempre accompagnata da aspetti che parola non sono. Tutto questo strascico prelinguistico è formato gesti, cenni, atteggiamenti, riferimenti impliciti, qualcosa che di solito va sotto il nome di “contesto”.

È inevitabile, quindi, che nell’atto della comunicazione si vada sempre oltre la semplice e mera trasmissione di dati asettici da un soggetto all’altro: in ogni atto comunicativo degno di questo nome si mette in gioco la propria identità personale, poiché con la propria identità personale si contribuisce a dire ciò che si dice.

L’esperienza dell’apprendimento di un’altra lingua rispetto alla propria lingua madre è una delle esperienze più arricchenti che una persona possa fare. Avendo acquisito una lingua in tenera età, l’identità personale si è costruita di pari passo secondo le potenzialità espressive che il linguaggio offre, e quando si apprende un linguaggio più o meno estraneo a quello originario subito si presenta la sfida di potersi esprimere in modo soddisfacente secondo il nuovo linguaggio, mirando all’aderenza ideale che già si possiede nella propria lingua di provenienza. Questo dovrebbe essere l’ideale di qualsiasi traduttore, quello cioè di puntare all’aderenza perfetta tra due lingue, o linguaggi, diversi, con la conseguenza che la priorità sarà quella di non tradire l’originale per quanto ostico sia rendere in altro idioma quello che originariamente un pensiero intendeva.

Proprio qui sta il talento del traduttore, che è quasi una vocazione: quello di essere un esportatore di essenze. Oltre che essere in parte innato, questo talento va esercitato ed affinato giorno per giorno.  Ora, l’apprendimento di una lingua straniera (o, per meglio dire, di una lingua estranea, giacché tutto quello che non ci è familiare in un primo momento ci è estraneo) è sempre legato alla familiarizzazione con una cultura: non è possibile assimilare una certa lingua senza assimilare un po’ anche la cultura ad essa legata. E la cultura è in primis contesto. Il traduttore, dunque, lungi dall’essere solo un efficiente dizionario di parole, è una sorta di dizionario di contesti, di concetti, di situazioni culturali; una specie di giocoliere di sinonimi e contrari interculturali.

A prescindere dalla cultura di appartenenza, ciò che accomuna gli esseri umani (e gli esseri in toto) è precisamente la condivisione di quanto più intimo si possiede: i significati fondamentali che si stagliano nelle nostre ricorrenze quotidiane. Poiché ciò che dà il massimo senso di comunione è la comprensione di noi stessi ad opera dell’Altro.

Articolo scritto da:
Loris Pasinato
Dottore di ricerca in filosofia e traduttore editoriale

Traduzione ed empatia

Cosa ci fa esteticamente piacere in un’opera d’arte? Questa, nella filosofia dell’arte e nell’estetica, è una domanda classica. I filosofi hanno cercato di spiegare che tipo di relazione, tra i soggetti e le forme artistiche, rende comprensibile quel sentimento di rapimento e piacere che, a volte, sperimentiamo guardando una chiesa, un dipinto o una scultura.

Una delle risposte più apprezzate è stata data da filosofi e psicologi del tardo diciannovesimo secolo, quali Robert Vischer, Heinrich Wölfflin o Theodor Lipps. In breve, la loro riflessione si focalizzava sul concetto di empatia (Einfühlung) che viene descritta come un’inconscia assegnazione di una nostra personale caratteristica organica all’opera d’arte che si trova davanti a noi. Queste attribuzioni, dunque, sarebbero provate dall’osservatore che, percependo soltanto il suo proprio stato emotivo e le sue proprie facoltà fisiche, ritiene appartengano all’opera d’arte, traendo piacere da essa come se fosse piena di vita.

L’empatia fu dunque definita come la capacità di “sentirsi dentro” (Ein-fühlung) l’oggetto, di renderlo vivo mediante l’ingresso nel suo dominio fino al punto in cui la distinzione soggetto/oggetto diventa sfocata.

L’idea che possiamo sviluppare empatia con le cose, oltre che con altri esseri viventi, non è forse così strana. Noi creiamo relazioni speciali con i nostri oggetti quotidiani preferiti, che siano essi un libro, un capo d’abbigliamento o una bicicletta. Infondiamo in questi oggetti un’anima e riconosciamo in essi un valore molto più grande del suo prezzo di mercato. Diventano speciali e li trattiamo particolarmente bene. L’empatia è una questione di trasportare le nostre emozioni e sentimenti ad altre entità e di comprendere, rispettare, amare queste.

Come tutto questo viene messo in relazione con il lavoro del traduttore? Per prima cosa, non c’è alcun dubbio che l’oggetto “testo” deve essere trattato analiticamente e la stessa traduzione come un processo tecnico. Tuttavia, se il testo è visto puramente come una “cosa” inanimata, esso resterà, in un certo senso, estraneo al traduttore.

Se l’oggetto davanti a noi è un testo, possiamo guardarlo come una “cosa” inanimata e procedere a tradurlo in un’altra “cosa”. Tuttavia, la mancanza di “sentirsi dentro” il testo non permetterà al traduttore di comprenderlo nei suoi più profondi aspetti, né di provare piacere per esso come oggetto estetico. In molti casi questa capacità è interamente necessaria. Se, infatti, come afferma Walter Benjamin, c’è un linguaggio puro dietro ad ogni testo, allora questa purezza può essere provata soltanto da un movimento empatico. La vera comunicazione implica una comprensione di tutte le dimensioni del messaggio, la quale, a sua volta, include il prendersi cura del testo come fosse un essere attivo.

L’empatia è stata segnalata come una delle caratteristiche che ci differenzia dalle macchine. Questo è un altro motivo per il quale la traduzione di una macchina è diversa da quella umana. Tuttavia, questo dimostra tutto eccetto un’insormontabile crepa all’interno dei servizi di traduzione. Piuttosto, ciò evidenzia come lo sviluppo della tecnologia si fonderà asintoticamente con “l’elemento umano”. Entrambi restano necessari per raggiungere il miglior risultato possibile.

Fonte: Articolo pubblicato il 23 giugno 2014 su Multilizer Translation Blog

Chi può ottenere la cittadinanza italiana?

 

La cittadinanza italiana

Attualmente la cittadinanza italiana è regolata dalla legge 5 febbraio 1992, n. 91 (e relativi regolamenti di esecuzione: in particolare il DPR 12 ottobre 1993, n. 572 e il DPR 18 aprile 1994, n. 362) che, a differenza della legge precedente, rivaluta il peso della volontà individuale nell’acquisto e nella perdita della cittadinanza e riconosce il diritto alla titolarità contemporanea di più cittadinanze.

I principi su cui si basa la cittadinanza italiana sono:

• la trasmissibilità della cittadinanza per discendenza (principio dello “ius sanguinis”);

• l’acquisto “iure soli” (per nascita sul territorio) in alcuni casi;

• la possibilità della doppia cittadinanza;

• la manifestazione di volontà per acquisto e perdita;

Acquisto della cittadinanza

La cittadinanza italiana può essere acquisita secondo le modalità di seguito riportate:

1. Cittadinanza per filiazione (“ius sanguinis”)

L’art. 1 della legge n. 91/92 stabilisce che è cittadino per nascita il figlio di padre o madre cittadini. Viene, quindi, confermato il principio dello ius sanguinis, già presente nella previgente legislazione, come principio cardine per l’acquisto della cittadinanza mentre lo ius soli resta un’ipotesi eccezionale e residuale.

Nel dichiarare esplicitamente che anche la madre trasmette la cittadinanza, l’articolo recepisce in pieno il principio di parità tra uomo e donna per quanto attiene alla trasmissione dello status civitatis.

Riconoscimento del possesso della cittadinanza agli stranieri discendenti da avo italiano emigrato in Paesi ove vige lo ius soli.

La legge del 1912, sebbene all’art. 1 confermasse il principio del riconoscimento della cittadinanza italiana per derivazione paterna al figlio del cittadino a prescindere dal luogo di nascita già stabilito nel codice civile del 1865, all’art. 7 intese garantire ai figli dei nostri emigrati il mantenimento del legame con il Paese di origine degli ascendenti, introducendo un’importante eccezione al principio dell’unicità della cittadinanza.

L’art. 7 della legge 555/1912 consentiva, infatti, al figlio di italiano nato in uno Stato estero che gli aveva attribuito la propria cittadinanza secondo il principio dello ius soli, di conservare la cittadinanza italiana acquisita alla nascita, anche se il genitore durante la sua minore età ne incorreva nella perdita, riconoscendo quindi all’interessato la rilevante facoltà di rinunciarvi al raggiungimento della maggiore età, se residente all’estero.

Tale norma speciale derogava, oltre al principio dell’unicità di cittadinanza, anche a quello della dipendenza delle sorti della cittadinanza del figlio minore da quelle del padre, sancito in via ordinaria dall’art. 12 della medesima legge n. 555\1912.

Le condizioni richieste per tale riconoscimento si basano perciò, da un lato sulla dimostrazione della discendenza dal soggetto originariamente investito dello status di cittadino (l’avo emigrato) e, dall’altro, sulla prova dell’assenza di interruzioni nella trasmissione della cittadinanza (mancata naturalizzazione straniera dell’avo dante causa prima della nascita del figlio, assenza di dichiarazioni di rinuncia alla cittadinanza italiana da parte degli ulteriori discendenti prima della nascita della successiva generazione, a dimostrazione che la catena di trasmissioni della cittadinanza non si sia interrotta).

Relativamente alle modalità del procedimento di riconoscimento del possesso iure sanguinis della cittadinanza italiana, le stesse sono state puntualmente formalizzate nella circolare n. K.28.1 dell’8 aprile 1991 del Ministero dell’Interno, la cui validità giuridica non risulta intaccata dalla successiva entrata in vigore della legge n. 91/1992.

L’autorità competente ad effettuare l’accertamento è determinata in base al luogo di residenza: per i residenti all’estero è l’Ufficio consolare territorialmente competente.

La procedura per il riconoscimento si sviluppa nei passaggi di seguito indicati:

accertare che la discendenza abbia inizio da un avo italiano (non ci sono limiti di generazioni); accertare che l’avo cittadino italiano abbia mantenuto la cittadinanza sino alla nascita del discendente. La mancata naturalizzazione o la data di un’eventuale naturalizzazione dell’avo deve essere comprovata mediante attestazione rilasciata dalla competente Autorità straniera; comprovare la discendenza dall’avo italiano mediante gli atti di stato civile di nascita e di matrimonio; atti che devono essere in regola con la legalizzazione, se richiesta, e muniti di traduzione ufficiale. A tal proposito è opportuno ricordare che la trasmissione della cittadinanza italiana può avvenire anche per via materna solo per i figli nati dopo il 01.01.1948, data di entrata in vigore della Costituzione; attestare che né l’istante né gli ascendenti hanno mai rinunciato alla cittadinanza italiana interrompendo la catena di trasmissione della cittadinanza, mediante appositi certificati rilasciati dalle competenti Autorità diplomatico consolari italiane.

Il richiedente ha l’onere di presentare l’istanza corredata dalla prescritta documentazione, regolare e completa, volta a dimostrare gli aspetti sopra elencati.

L’istanza deve essere presentata all’Ufficio consolare nell’ambito della cui circoscrizione risiede lo straniero originario italiano.

2. Cittadinanza per nascita sul territorio italiano  (“ius soli”)

Acquista la cittadinanza italiana:

– colui i cui genitori siano ignoti o apolidi o non trasmettano la propria cittadinanza al figlio secondo la legge dello Stato del quale sono cittadini (art. 1, comma 1, lettera b legge n. 91/92);

– il figlio di ignoti che venga trovato abbandonato in territorio italiano e di cui non si riesca a determinare la cittadinanza (art. 1, comma 2 legge n. 91/92).

3. Acquisto della cittadinanza durante la minore età

Particolare attenzione è riservata dalla legge n. 91/92 all’acquisto della cittadinanza durante la minore età a seguito di:

a) riconoscimento o dichiarazione giudiziale della filiazione;

b) adozione;

c) naturalizzazione del genitore.

a) Cittadinanza per riconoscimento o per dichiarazione giudiziale della filiazione  

È cittadino italiano il minore che viene riconosciuto come figlio da un cittadino italiano o che è dichiarato figlio di un cittadino italiano da parte di un giudice (art. 2, comma 1 legge n. 91/92).

In caso il riconoscimento o la dichiarazione giudiziale riguardino un maggiorenne, questi acquista la cittadinanza italiana solo se entro un anno dal provvedimento esprime la propria volontà in tal senso, attraverso una ”elezione di cittadinanza” (art. 2, comma 2 legge n. 91/92).

In caso il riconoscimento o la dichiarazione giudiziale riguardino un maggiorenne, ai sensi dell’art. 3 del D.P.R. 12.10.1993, n. 572 (Regolamento di attuazione della legge n. 91/92) la dichiarazione di elezione della cittadinanza di cui all’art. 2, comma 2 della legge deve essere corredata dei seguenti atti:

– atto di nascita (ai fini dell’esatta individuazione dell’interessato);

– atto di riconoscimento o copia autenticata della sentenza con cui viene dichiarata la paternità o la maternità;

– certificato di cittadinanza del genitore.

Detti ultimi atti costituiscono il presupposto per richiedere il beneficio in esame.

E’ da osservare, infine, che la dichiarazione giudiziale di riconoscimento potrebbe essere stata effettuata all’estero: in questo caso il computo del periodo di un anno per rendere la dichiarazione di elezione della cittadinanza deve effettuarsi dalla data in cui viene reso efficace in Italia il provvedimento straniero.

b) Cittadinanza per adozione

Acquista la cittadinanza italiana il minore straniero adottato da cittadino italiano mediante provvedimento dell’Autorità Giudiziaria italiana ovvero, in caso di adozione pronunciata all’estero, mediante provvedimento dell’Autorità straniera reso efficace in Italia con ordine (emanato dal Tribunale per i minorenni) di trascrizione nei registri dello stato civile.

Se l’adottato è maggiorenne, può acquistare la cittadinanza italiana per naturalizzazione trascorsi 5 anni di residenza legale in Italia dopo l’adozione.

c) Per naturalizzazione dei genitori

Secondo l’art. 14 della legge 91/92 “I figli minori di chi acquista o riacquista la cittadinanza italiana, se convivono con esso, acquistano la cittadinanza italiana, ma, divenuti maggiorenni, possono rinunciarvi, se in possesso di altra cittadinanza”.

L’acquisto interviene, quindi, avviene automaticamente alla sola condizione della convivenza e sempre che si tratti di un soggetto minorenne secondo l’ordinamento italiano.

Perché il genitore divenuto italiano possa trasmettere il nostro status civitatis al figlio, occorrono pertanto che ricorrano tre condizioni:

il rapporto di filiazione; la minore età del figlio; la convivenza con il genitore.

L’art. 12 del D.P.R. n. 572/93 ha specificato che la convivenza deve essere stabile ed effettiva ed attestata con idonea documentazione, deve inoltre sussistere al momento dell’acquisto o del riacquisto della cittadinanza del genitore.

4. Acquisto della cittadinanza per beneficio di legge

La fattispecie, regolata dall’art. 4 della legge n. 91/92, si riferisce ad ipotesi che trovano applicazione solo sul territorio italiano. Per la relativa disciplina si rinvia, pertanto, al Ministero dell’Interno.

5. Cittadinanza per matrimono con cittadino/a italiano/a

L’acquisto della cittadinanza da parte del coniuge straniero o apolide di cittadino italiano è disciplinato dagli artt. 5, 6, 7 e 8 della legge 91/92.

Il coniuge straniero può acquistare la cittadinanza italiana su domanda, in presenza dei seguenti requisiti:

in Italia: due anni di residenza legale dopo il matrimonio; all’estero: tre anni dopo il matrimonio. Tali termini sono ridotti della metà in presenza di figli nati o adottati dai coniugi; validità del matrimonio e permanenza del vincolo coniugale fino all’adozione del decreto; assenza di sentenze di condanna per reati per i quali sia prevista una pena non inferiore nel massimo a tre anni di reclusione o di sentenze di condanna da parte di un’Autorità giudiziaria straniera ad una pena superiore ad un anno per reati non politici; assenza di condanne per uno dei delitti previsti nel libro secondo, titolo I, capi I, II e III del codice penale (delitti contro la personalità dello Stato); assenza di motivi ostativi per la sicurezza della Repubblica.

La domanda di acquisto della cittadinanza, indirizzata al Ministro dell’Interno, va presentata, in caso di residenza all’estero, all’Ufficio consolare territorialmente competente utilizzando l’apposito modulo che deve essere debitamente compilato in ogni sua parte e sottoscritto. Ove il richiedente sia un cittadino extracomunitario la firma deve essere autenticata dall’Ufficio consolare che riceve la domanda.

In caso di istanza presentata all’estero, il richiedente deve allegare la seguente documentazione legalizzata e tradotta:

atto di nascita completo di tutte le generalità, ovvero, in caso di documentata impossibilità, attestazione rilasciata dall’Autorità diplomatico-consolare del Paese di origine nella quale si indicano le esatte generalità (nome, cognome, data e luogo di nascita), nonché paternità e maternità dell’istante; certificati penali del Paese di origine e degli eventuali Paesi terzi di residenza; certificato di residenza o documento equipollente; estratto per riassunto dai registri di matrimonio rilasciato dal Comune italiano presso il quale è stato iscritto o trascritto il relativo atto (non certificato o copia dell’atto di matrimonio); certificato di cittadinanza italiana del coniuge in bollo; copia del passaporto (munita di traduzione ufficiale in lingua italiana, ove il documento non contenga indicazioni redatte, oltre che nella lingua originale, anche in lingua inglese o francese), autenticata dalla Rappresentanza diplomatico-consolare dello Stato che lo ha rilasciato; certificato di stato di famiglia, in bollo. Ricevuta del pagamento del contributo di 200 euro.

In base all’art. 4, comma 5 del D.P.R. n. 572/93 è facoltà del Ministero dell’Interno di richiedere, a seconda dei casi, altri documenti.

Si ricorda che, ai sensi della direttiva del Ministro dell’Interno del 7 marzo 2012, a partire dal 1° giugno 2012 la competenza ad emanare i decreti di concessione della cittadinanza spetta:- al Prefetto per le domande presentate dallo straniero legalmente residente in Italia;

– al Capo del dipartimento per le Libertà Civili e l’Immigrazione, qualora il coniuge straniero abbia la residenza all’estero;

– al Ministro dell’Interno nel caso sussistano ragioni inerenti alla sicurezza della Repubblica.

I seguenti atti: estratto dell’atto di matrimonio, certificato di stato di famiglia, certificato di cittadinanza italiana del coniuge sono sostituiti, qualora il richiedente sia cittadino UE, da autocertificazione ai sensi del D.P.R. 445/2000 e da ultimo dalla legge 183/2011.

Il richiedente cittadino di un Paese non aderente all’Unione Europea può essere esonerato dalla presentazione dell’estratto dell’atto di matrimonio, del certificato di stato di famiglia e del certificato di cittadinanza italiana del coniuge, qualora tali atti siano già in possesso della Rappresentanza diplomatico consolare. A tal fine è necessario che:

a. il richiedente dichiari nella domanda che l’estratto dell’atto di matrimonio, il certificato di stato di famiglia e il certificato di cittadinanza italiana del coniuge sono già in possesso dell’Ufficio consolare, indicando il Comune italiano dove l’atto è stato trascritto, la data di celebrazione del matrimonio e, ove in suo possesso, gli estremi della trascrizione;

b. l’Ufficio consolare attesti che i dati riportati dall’istante nella domanda sono stati verificati e corrispondono ai suddetti atti in possesso della Sede.

Si suggerisce ad ogni buon fine di consultare il sito web della Rappresentanza competente per residenza.

6. Acquisto per residenza

L’art. 9 della legge contempla l’istituto della concessione della cittadinanza italiana mediante Decreto del Presidente della Repubblica, prevedendo modalità differenziate in considerazione di specifici requisiti degli aspiranti e graduando il periodo di residenza legale occorrente per legittimare la proposizione della relativa istanza.

In via ordinaria viene richiesta una residenza legale sul territorio dello Stato di almeno 10 anni per gli stranieri non comunitari (art. 9, lett. f), ma numerosi sono i casi per i quali il periodo di residenza occorrente è inferiore:

– 3 anni di residenza legale: per lo straniero di cui il padre o la madre o uno degli ascendenti in linea retta di secondo grado sono stati italiani per nascita o per lo straniero nato in Italia e ivi residente;

– 4 anni per il cittadino di uno Stato aderente alle Comunità Europee;

– 5 anni di residenza legale successivi all’adozione per lo straniero maggiorenne; successivi al riconoscimento dello status per l’apolide o il rifugiato politico.

Non è previsto il requisito della residenza per lo straniero che ha prestato servizio anche all’estero per lo Stato Italiano per almeno cinque anni (lettera c dell’art. 9).

Riferendosi ad ipotesi che trovano applicazione solo sul territorio italiano, si rinvia per la relativa disciplina al Ministero dell’Interno.

7. Concessione della cittadinanza per meriti speciali

Il secondo comma dell’art. 9 dispone che la cittadinanza italiana può essere concessa con Decreto del Presidente della Repubblica sentito il Consiglio di Stato e previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell’Interno, di concerto con il Ministro degli Affari Esteri, allo straniero che abbia reso eminenti servizi all’Italia, ovvero quando ricorra un eccezionale interesse dello Stato.

L’avvio della procedura non richiede un atto di impulso del soggetto interessato, ma necessita di una proposta avanzata da enti, personalità pubbliche, associazioni ecc. che comprovino una diffusa valutazione circa la sussistenza dei requisiti previsti dalla legge in capo all’eventuale destinatario.

La procedura prevede l’acquisto dei pareri degli Organismi di sicurezza e, per i residenti in Italia, della Prefettura del luogo di residenza.

E’ comunque necessario acquisire la dichiarazione di assenso dell’interessato all’acquisto della cittadinanza.

Anche in questa ipotesi di acquisto, il decreto presidenziale di concessione della cittadinanza italiana non ha efficacia se l’interessato, ove residente all’estero, non presti, davanti all’Ufficio Consolare competente, il giuramento di fedeltà alla Repubblica previsto dall’art. 10 della legge.

Il conseguimento del nostro status civitatis decorrerà dal giorno successivo a quello del giuramento.

8. Riconoscimento della cittadinanza italiana in base a leggi speciali

Legge 14 dicembre 2000, n. 379

La dichiarazione tesa a ottenere il riconoscimento della cittadinanza italiana a favore delle persone nate e già residenti nei territori dell’ex Impero austro-ungarico e ai loro discendenti ai sensi della legge 379/2000 poteva essere resa entro il 20 dicembre 2010 davanti all’Ufficio consolare italiano se il richiedente risiedeva all’estero oppure davanti all’Ufficiale di stato civile del Comune se il richiedente risiedeva in Italia.

Le dichiarazioni presentate nei termini sono esaminate da una commissione interministeriale, istituita presso il Ministero dell’Interno, che esprime il proprio parere in ordine alla sussistenza dei requisiti richiesti dalla legge. Qualora il parere sia favorevole il Ministero dell’Interno rilascia un nulla osta al riconoscimento.

I requisiti necessari per il riconoscimento della cittadinanza italiana sono:

– nascita e residenza dell’avo nei territori già appartenenti all’Impero austro-ungarico e acquisiti dall’Italia alla fine della prima guerra mondiale in attuazione del Trattato di San Germano;

– emigrazione all’estero dell’avo nel periodo compreso tra il 25 dicembre 1867 e il 16 luglio 1920.

Legge 8 marzo 2006, n. 124

Prevede il riconoscimento della cittadinanza italiana a favore:

1 dei connazionali residenti dal 1940 al 1947 in Istria, Fiume e Dalmazia, che hanno perso la cittadinanza italiana allorché tali territori furono ceduti alla Repubblica Jugoslava in forza dei trattati di Parigi del 10 febbraio 1947, e ai loro discendenti;

2 dei connazionali residenti sino al 1977 nella zona B dell’ex Territorio Libero di Trieste che hanno perso la cittadinanza italiana allorché tale territorio venne ceduto alla Repubblica Jugoslava in forza del trattato di Osimo del 10 novembre 1975, e ai loro discendenti.

L’istanza va presentata all’Ufficio consolare italiano se il richiedente risiede all’estero o al Comune se risiede in Italia.

Occorre distinguere due distinte categorie di beneficiari

A. Soggetti destinatari dell’art.19 del Trattato di Pace di Parigi, in quanto già residenti nei territori ceduti nel 1947.

Al fine di comprovare la sussistenza dei requisiti richiesti dall’art. 17 bis, comma 1, lett. a) della legge n. 91/92, sono allegati all’istanza di riconoscimento i seguenti documenti:

a) atto di nascita, possibilmente su modello internazionale;

b) certificato attestante il possesso della cittadinanza straniera;

c) certificato di attuale residenza;

d) certificazione o documentazione idonea a dimostrare la residenza alla data del 10.6.1940 nei territori ceduti all’ex Repubblica Federativa Socialista Jugoslava;

e) certificazione dalla quale risulti che l’interessato alla data del 15.9.1947 – data di entrata in vigore del Trattato di Pace di Parigi – era cittadino italiano (oppure documentazione equipollente quale foglio matricolare, passaporto, ecc.);

f) attestazione rilasciata da eventuali Circoli, Associazioni o Comunità di italiani presenti sul territorio estero di residenza, dalla quale risulti la data di iscrizione, la lingua usuale dell’interessato ed ogni altro utile elemento comprovante la conoscenza della lingua italiana;

g) ogni altra utile documentazione comprovante la lingua usuale dell’interessato (ad esempio copia di attestati di frequenza di scuole di lingua italiana, pagelle scolastiche, ecc.). I figli o discendenti in linea retta dei beneficiari dell’art. 19 del succitato Trattato di Pace di Parigi, che intendono avvalersi dell’art.17-bis, comma 1, lett. b), allegheranno all’istanza di riconoscimento della cittadinanza italiana i seguenti documenti:

certificazione o documentazione dalla quale risulti il possesso, da parte del proprio genitore o dell’ascendente in linea retta, dei requisiti di cui ai sopracitati punti d-e-f-g;

certificato di nascita attestante il rapporto di discendenza diretta tra il richiedente e il genitore o ascendente;

certificato attestante il possesso della cittadinanza straniera;

attestazione rilasciata da eventuali Associazioni o Comunità di italiani, presenti sul territorio estero di residenza, dalla quale risulti la conoscenza, da parte del richiedente, della lingua e cultura italiane;

ogni altra utile documentazione idonea a comprovare la conoscenza, da parte del richiedente, della lingua e cultura italiane.

B. Soggetti destinatari delle disposizioni di cui all’art. 3 del Trattato di Osimo, già residenti nel territorio della zona B dell’ex Territorio Libero di Trieste

Al fine di comprovare la sussistenza dei requisiti richiesti dall’art. 17 bis, comma 1, lett. a) della legge n. 91/92, allegheranno all’istanza di riconoscimento i seguenti documenti:

a) atto di nascita, possibilmente su modello internazionale;

b) certificato attestante il possesso della cittadinanza straniera;

c) certificato di residenza attuale;

d) certificazione o documentazione idonea a comprovare la loro residenza e la cittadinanza italiana alla data del 3 aprile 1977 (data di entrata in vigore del Trattato di Osimo);

e) attestazione rilasciata da eventuali Circoli, Associazioni o Comunità di italiani presenti sul territorio estero di residenza, dalla quale risulti la data di iscrizione, la lingua usuale dell’interessato e ogni altro utile elemento comprovante la conoscenza della lingua italiana;

f) ogni utile documentazione comprovante l’appartenenza al gruppo etnico italiano come previsto dal succitato art. 3.

I figli o discendenti in linea retta dei beneficiari dell’art.3 del Trattato di Osimoallegheranno all’istanza di riconoscimento della cittadinanza italiana, presentata ai sensi dell’art.17-bis, comma 1 lett. b), i seguenti documenti:

certificazione o documentazione dalla quale risulti il possesso, da parte del proprio genitore o dell’ascendente in linea retta, dei requisiti di cui ai sopracitati punti d-e-f;

certificato di nascita attestante il rapporto di discendenza diretta tra il richiedente e il genitore o ascendente;

certificato attestante il possesso della cittadinanza straniera;

attestazione rilasciata da eventuali Associazioni o Comunità di italiani, presenti sul territorio estero di residenza, dalla quale risulti la conoscenza della lingua e cultura italiane in capo ai richiedenti;

ogni altra utile documentazione idonea a comprovare la conoscenza della lingua e cultura italiane.

Sulle domande si esprime una commissione interministeriale istituita presso il Ministero dell’Interno il quale rilascia un nulla osta qualora il parere sia favorevole.

Perdita della cittadinanza

Il cittadino italiano può perdere la cittadinanza automaticamente ovvero per rinuncia formale.

A. Perde la cittadinanza automaticamente:

1. il cittadino italiano che si arruoli volontariamente nell’esercito di uno Stato straniero o accetti un incarico pubblico presso uno Stato estero nonostante gli venga espressamente vietato dal Governo italiano (art. 12, comma 1 legge n. 91/92);

2. il cittadino italiano che, durante lo stato di guerra con uno Stato estero, abbia prestato servizio militare o svolto un incarico pubblico o abbia acquistato la cittadinanza di quello Stato (art. 12, comma 2 legge n. 91/92);

3. l’adottato in caso di revoca dell’adozione per fatto a lui imputabile, a condizione che detenga o acquisti un’altra cittadinanza (art. 3, comma 3 legge n. 91/92) .

B. Perde la cittadinanza a condizione che vi rinunci formalmente:

1. l’adottato maggiorenne, a seguito di revoca dell’adozione per fatto imputabile all’adottante, sempre che detenga o riacquisti un’altra cittadinanza (art. 3, comma 4 legge n. 91/92);

2. il cittadino italiano, qualora risieda o stabilisca la propria residenza all’estero e se possiede, acquista o riacquista un’altra cittadinanza (art. 11 legge n. 91/92);

3. il maggiorenne che ha conseguito la cittadinanza italiana da minorenne a seguito di acquisto o riacquisto della cittadinanza da parte di uno dei genitori, a condizione che detenga un’altra cittadinanza (art. 14 legge n. 91/92).

La dichiarazione di rinuncia alla cittadinanza è resa, in caso di residenza all’estero, all’Ufficio consolare competente. Essa deve essere corredata della seguente documentazione:- atto di nascita rilasciato dal Comune presso il quale detto atto risulta iscritto o trascritto;

– certificato di cittadinanza italiana;

– documentazione relativa al possesso della cittadinanza straniera;

– documentazione relativa alla residenza all’estero, ove richiesta.

Il minorenne NON perde la cittadinanza italiana se uno o entrambi i genitori la perdono o riacquistano una cittadinanza straniera.

Le donne che dopo il 1° gennaio 1948 abbiano automaticamente acquistato una cittadinanza straniera per matrimonio con cittadini stranieri o per naturalizzazione straniera del marito nato italiano NON hanno perso la cittadinanza italiana. Al fine di consentire le necessarie annotazioni a margine degli atti di stato civile, è necessario che le donne interessate (o i loro discendenti) manifestino ai competenti uffici consolari la volontà di mantenerla, mediante una dichiarazione di possesso ininterrotto.

Doppia cittadinanza

A partire dal 16 agosto 1992 (data di entrata in vigore della legge n. 91/92) l’acquisto di una cittadinanza straniera non determina la perdita della cittadinanza italiana a meno che il cittadino italiano non vi rinunci formalmente (art. 11 legge n. 91/92), salvo disposizioni di accordi internazionali.

La denuncia da parte dello Stato italiano della Convenzione di Strasburgo del 1963 comporta che, a decorrere dal 4 giugno 2010, non si verifichi più la perdita automatica della cittadinanza italiana per i cittadini che si naturalizzano nei Paesi firmatari della stessa (a seguito della denuncia di Svezia, Germania, Belgio, Francia e Lussemburgo, risultano attualmente firmatari l’Austria, la Danimarca, la Norvegia e i Paesi Bassi).

Riacquisto della cittadinanza

1. La disciplina del riacquisto della cittadinanza è contenuta nell’art. 13 della legge 91/92. Si segnala in particolare che il cittadino, residente all’estero, che ha perso la cittadinanza può riacquistarla ai sensi del comma 1, lettera c), previa apposita dichiarazione al competente Ufficio consolare qualora stabilisca la propria residenza in Italia entro un anno dalla dichiarazione stessa;

2. Le donne sposate con stranieri prima del 1° gennaio 1948, che – in virtù del matrimonio – abbiano acquisito automaticamente la cittadinanza del marito, hanno perso la cittadinanzaitaliana e possono riacquistarla, anche se residenti all’estero, con una dichiarazione. La dichiarazione di riacquisto della cittadinanza è resa, in caso di residenza all’estero, all’Ufficio consolare competente.

Essa deve essere corredata della seguente documentazione:

-atto di nascita rilasciato dal Comune presso il quale detto atto risulta iscritto o trascritto;

-documentazione da cui risulti il trascorso possesso della cittadinanza italiana;

-documentazione relativa al possesso della cittadinanza straniera, ovvero allo status di apolidia;

-certificato di situazione di famiglia o documentazione equipollente.

Semplificazione amministrativa

Si ricorda che alla luce degli artt. 43, comma 1, 46 e 47 del DPR 445/2000 (come novellato dalla legge 183/2011) e con i limiti di cui all’art. 3 del citato DPR, le amministrazioni pubbliche italiane sono tenute ad acquisire d’ufficio le informazioni, i dati e i documenti che siano già in possesso della Pubblica Amministrazione, previa indicazione, da parte dell’interessato, degli elementi indispensabili per il reperimento delle informazioni o dei dati richiesti.

Pertanto, in caso di istanze, di acquisto o di rinuncia della cittadinanza presentate da cittadini italiani, UE o extra-UE regolarmente soggiornanti in Italia gli stessi non dovranno produrre certificati riportanti informazioni o dati già in possesso della Pubblica Amministrazione italiana ma dovranno semplicemente riportare nella domanda tutti gli elementi indispensabili per il reperimento di tali informazioni o dati.

Costi

A decorrere dall’8 agosto 2009, le istanze o le dichiarazioni concernenti l’elezione, l’acquisto, il riacquisto, la rinuncia o la concessione della cittadinanza italiana sono soggetti al pagamento di un contributo di 200 euro. A decorrere dall’8 luglio 2014 tutte le istanze di riconoscimento della cittadinanza italiana di persona maggiorenne sono soggette al pagamento di un diritto per il trattamento della domanda di 300 Euro.

 

Fonte: FARNESINA – Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale

La traduzione e la diversità delle lingue

La parola tradurre deriva dal latinotrans” “ducere”, ossia “condurre” “al di là”. Già nel suo significato etimologico richiama un’operazione delicata e preziosa, il custodire ciò che va incontro a un cambiamento.

Lo studioso tedesco Wilhelm von Humboldt nell’opera “La diversità delle lingue“, pubblicata postuma, sosteneva che ogni lingua racchiude una particolare visione del mondo e che da quella non si può più prescindere, a maggior ragione quando ci si avvicina ad altre lingue e alle peculiari visioni della realtà che a loro volta veicolano. Non ci si spoglia della lingua materna semplicemente, come fosse un abito per indossarne uno nuovo. La lingua che apprendiamo guida il nostro sguardo su ciò che ci circonda, lo forma irreversibilmente.

Come un funambolo il traduttore fa quindi da ponte tra due mondi e nel muoversi si confronta con il rischio di cadere. Impossibile restare del tutto fedeli all’originale. A questa difficoltà oggettiva, radicata nella natura stessa delle lingue quali realtà “individuali”, complesse, autonome, se ne sovrappone un’altra soggettiva: impossibile non lasciare tracce di sé nell’opera tra-dotta.
Il poeta sa quanto profonda sia la distanza tra due termini, proprio quelli che appaiono più simili, e di questa distanza nutre la sua arte.
Come il poeta anche il traduttore si scontra ineluttabilmente con il contorno ruvido delle parole. Il lettore ne ha chiara percezione soltanto quando si imbatte in traduzioni diverse della stessa opera.

Per puro caso anni fa mi capitarono tra le mani due edizioni, lontane temporalmente e curate da traduttori differenti, della raccolta autobiografica di un autore rumeno. La prima mi folgorò alla prima lettura, spingendomi a comprare il testo ma in quella più recente, l’unica disponibile, ogni passo sembrava irriconoscibile. I ricordi descritti erano gli stessi, eppure nel confronto apparivano grigi e non risuonavano nello stesso modo. Quale delle due versioni era la più fedele? Forse la prima, suggestiva e potente? Oppure proprio la seconda si era mantenuta più vicina al testo? La traduzione è un rischio. Colui che si impegna in una simile impresa mette in gioco se stesso, la sua sensibilità e cultura. Senza questo lavoro minuzioso e invisibile nessuna opera si renderebbe accessibile a un nuovo pubblico e verrebbe meno la possibilità stessa di condividere quel patrimonio ricchissimo e stratificato nei secoli che da sempre nutre le persone al di là dei confini geografici, culturali e temporali.

Iscrizione anagrafica dei cittadini stranieri

Per i comunitari la disciplina è prevista dal D.Lgs. 30 del 2007

ISCRIZIONE DEI CITTADINI DELL’UNIONE EUROPEA.

Il decreto legislativo 6 febbraio 2007, n. 30, ha previsto che i cittadini dell’Unione europea che intendano soggiornare in Italia per un periodo superiore a tre mesi debbano iscriversi all’anagrafe della popolazione residente, presso il comune.
In quella sede i cittadini dell’Unione dovranno dichiarare il luogo in cui dimorano e presentare, oltre al documento d’identità, i documenti che dimostrano il loro diritto a soggiornare in Italia: i lavoratori dovranno esibire la documentazione attestante lo svolgimento di un’attività lavorativa; coloro che non lavorano dovranno dichiarare di possedere le risorse economiche sufficienti al soggiorno ed esibire una polizza sanitaria; gli studenti dovranno dimostrare di seguire un corso di studi, oltre a dichiarare il possesso delle risorse economiche per il soggiorno e mostrare la polizza di copertura sanitaria.
I familiari, a loro volta cittadini dell’Unione, dovranno documentare il rapporto di parentela.
Il comune al momento della richiesta d’iscrizione rilascia agli interessati un documento che attesta l’avvio del procedimento d’iscrizione, e alla sua conclusione rilascia un attestato d’iscrizione anagrafica.
Dopo cinque anni di soggiorno il cittadino dell’Unione può chiedere al comune l’attestazione di soggiorno permanente.

ISCRIZIONE ANAGRAFICA DEGLI STRANIERI EXTRACOMUNITARI

I cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea per iscriversi all’anagrafe devono esibire il permesso di soggiorno e il passaporto in corso di validità.

Fonte: dipartimento Affari interni e territoriali
Ultimo aggiornamento: 13.3.2014