11+2=12+1

Franco Nasi, saggista e traduttore, insegna Letteratura italiana contemporanea e Teoria della traduzione all’Università di Modena e Reggio Emilia. Ha tradotto poeti contemporanei americani e inglesi fra cui Roger McGough e Billy Collins. Sulla traduzione ha scritto Poetiche in transito(Milano 2004), La malinconia del traduttore (Milano 2008), Specchi comunicanti (Milano 2010). Con Angela Albanese ha curato I dilemmi del traduttore di nonsense (Ravenna 2012).

Franco Nasi

L’equivalenza che si vede nel titolo è ovvia. Ma se la pronunciamo in inglese (Eleven plus two is Twelve plus one) anziché in italiano (Undici più due è Dodici più uno) ci accorgiamo, forse, che fra le lettere succede qualcosa di diverso: Eleven plus two è legato a Twelve plus one dal vincolo dell’anagramma. Si potrebbe trattare di una curiosa coincidenza e la cosa finirebbe lì. Ma se quella “doppia” equivalenza inglese fosse anche un verso di una poesia che ha
come titolo Anagrammer, e noi fossimo chiamati a tradurla, la curiosa coincidenza diventerebbe immediatamente un bel rompicapo.

La poesia di Peter Pereira, poeta americano dell’Oregon, si trova in un’antologia curata da Billy Collins intitolata 180 more. Extraordinary Poems for Every Day (Random House, 2005) e rivolta in particolare ai giovani delle scuole superiori americane. Inizia così:

If you believe in the magic of language,

then Elvis really Lives

and Princess Diana foretold  I end as car spin

Credo che a qualunque traduttore venga voglia almeno di provarci. Io ci ho provato, ma poi, quasi subito, davanti all’anagramma della principessa Diana che prevede di morire a bordo di un’auto in testa-coda mi sono arreso. Però siccome non credo che esistano traduzioni impossibili, ho scritto a Stefano Bartezzaghi. Nella traduzione, come in quasi ogni altra cosa, basta chiedere alle persone giuste. Due giorni dopo la sua immancabile risposta, con la traduzione di tutta la poesia, pubblicata in seguito integralmente sulla rivista “Hope” (n. 15, 2008, pp. 42-43). Nella lunga e sorprendente sequela di soluzioni, Bartezzaghi proponeva anche la versione italiana dell’equivalenza numerica: Tredici più otto è Diciotto più tre. Come succede spesso quando si leggono le traduzioni di frasi apparentemente impossibili si resta sorpresi della ovvietà della soluzione. È sempre così. Però il più è trovarle. Chapeau.

Qualche tempo fa mostrai la poesia di Pereira e la traduzione di Bartezzaghi a un gruppo di studenti, raccomandando loro di tenere a mente la traduzione dell’anagramma aritmetico come cosa simpatica da raccontare, come monito a non deporre mai le armi di fronte a una traduzione estrema, e comunque a pensare sempre che il fatto di non riuscire a tradurre non significa che qualcun altro non possa farlo. Una settimana dopo, al termine della lezione, una studentessa, Rexhina Dibra, con fare un po’ impacciato, quasi vergognandosi, mi disse che a casa, ripensando alla traduzione di Bartezzaghi, aveva notato che Eleven plus twoè formato da 13 lettere, e che questo numero è anche la somma di 11 e 2, mentre in italiano Tredici più otto è formato da 14 lettere e la somma è 21. Quindi, forse,  nella soluzione non venivano rispettati tutti i vincoli, intenzionali o meno che fossero. Questi sono i momenti in cui un insegnante si sente da un lato disarmato perché non sa proprio che cosa dire, dall’altro gratificato dal constatare che è riuscito a fare entrare qualche tarlo nella testa degli studenti. Nuovo consulto con Bartezzaghi, e nuova soluzione che tiene conto dei due vincoli: Il tredici sommato a otto (21 lettere) è Il diciotto sommato a tre. L’obiettivo è raggiunto con l’inclusione di un paio di zeppe (come le chiamano i poeti).

Di recente ho raccontato la complessità crescente dell’esercizio traduttivo a un incontro sulla traduzione alle Murate di Firenze. La sera a casa ho ricevuto una mail da una persona, a me sconosciuta, presente all’incontro. Con la stessa discrezione con cui la studentessa mi aveva fatto presente l’ulteriore vincolo, Silvia Rogai, una giovane e bravissima traduttrice, mi faceva notare che la soluzione con le zeppe era acuta, ma meno fluida dell’originale. Insomma, zoppicava, perdeva ritmo e immediatezza.  “Così – mi scrive – mi è venuta in mente un’altra soluzione, senza niente togliere ovviamente al grande Bartezzaghi: Quattordici più tre è Tredici più quattro. 14+3 è anagramma di 13+4 in italiano, e la loro somma è 17, come il numero di lettere che compongono la somma. Doppio chapeau.

Mi piace constatare che si è arrivati a questa soluzione brillante e semplice in un ex convento e poi ex carcere ora trasformato in luogo di incontri culturali (le Murate di Firenze). Anche perché la traduzione è monacale e si fa spesso in solitudine, ma è anche conventuale e per essenza dialogica: monastero-convento; ha a che fare con i vincoli, con i ceppi che venivano messi alle caviglie dei prigionieri (captivus è il termine latino per prigioniero), ma anche con quel rigore e quella cattiveria che, come nota Stefano Bartezzaghi, è anagramma di “creatività”.

 

P.S. Ho scritto al poeta americano Peter Pereira raccontandogli la storiella della traduzione dell’anagramma e chiedendogli se si fosse accorto della coincidenza fra il risultato della somma e il numero di lettere che compongono Eleven plus two. Come immaginavo, la sua reazione è stata di sorpresa: “I had no idea… Amazing”. A riprova forse del fatto che i testi vivono di vita propria.

 

 

©Franco Nasi

Il traduttore freelance o meglio, il professionista della traduzione

traduttori freelance sono il perno su cui si basa il settore della traduzione. Si tratta di professionisti che operano quasi sempre dietro le quinte ma senza i quali il mondo dell’intermediazione linguistica non esisterebbe neppure.
A loro è dovuto il successo delle agenzie di traduzione e dei progetti dei loro clienti.
I principali criteri che determinano la professionalità di un traduttore sono:
> Padronanza della lingua di destinazione scritta
> Padronanza della lingua di partenza
> Conoscenza della cultura dei paesi dove si parlano le due lingue
> Titoli di studio
> Certificazioni da parte di enti riconosciuti
> Esperienza lavorativa nel settore della traduzione
> Esperienza lavorativa in altri settori
> Competenze specialistiche in uno o più settori
> Conoscenze informatiche generali
> Talento nel tradurre
> Velocità di esecuzione
> Affidabilità

Padronanza della lingua di destinazione scritta
I traduttori traducono normalmente verso la loro lingua d’origine. Il primissimo requisito è pertanto saper scrivere in modo corretto nella propria lingua. Un requisito apparentemente scontato ma che in realtà non lo è affatto. Conoscere alla perfezione le regole grammaticali, ortografiche e sintattiche, ed essere in grado di esprimersi con uno stile adeguato al contesto, non è cosa da tutti. È una prerogativa che si acquisisce con anni di studio teorico seguiti da una pratica costante nel corso del tempo.
È evidente che, nella scelta di un traduttore, la padronanza della lingua scritta è un fattore tanto più importante quanto più ci si avvicina alla traduzione editoriale o addirittura letteraria. Nella traduzione tecnica hanno sicuramente più peso abilità di tipo diverso, come la conoscenza specialistica di un determinato settore.

Padronanza della lingua di partenza
Molti credono che per poter essere traduttori basti parlare una seconda lingua. Non è affatto così. Avere un genitore straniero, aver lavorato o studiato per un breve periodo all’estero o aver vissuto anche a lungo in un contesto bilingue, sono fattori sicuramente positivi ma non sufficienti. La traduzione professionale richiede una conoscenza piena della lingua di partenza, non basta esprimersi in modo corretto a livello orale.
Come per la lingua di destinazione, è fondamentale che il traduttore ne conosca alla perfezione la grammatica, l’ortografia e la sintassi. Per raggiungere questo traguardo sono necessari anni di studio e di letture. Solo così si può arrivare a comprendere in tutta la loro finezza certe costruzioni linguistiche particolari come i giochi di parole, i sottintesi, le frasi fatte, le espressioni colloquiali, le metafore, i proverbi.

Conoscenza della cultura dei paesi dove si parlano le due lingue
L’aspetto culturale è fondamentale per tradurre e localizzare un documento o un sito internet in modo corretto. Una traduzione non è una semplice trasposizione di parole da una lingua ad un’altra. Talvolta in un documento sono presenti concetti che non hanno neppure un corrispondente nella lingua d’arrivo. In altri casi, concetti assolutamente normali ed accettati nella lingua di partenza possono risultare offensivi nella lingua di destinazione. Lo stesso dicasi per le immagini. Per evitare di fare errori grossolani traducendo, è importante conoscere a fondo la cultura, la mentalità e i costumi dei paesi dove vengono parlate le lingue oggetto della traduzione. È pertanto imprescindibile aver vissuto a lungo in tutti e due i paesi e continuare a mantenere un legame con entrambi con viaggi piuttosto frequenti.

Titoli di studio
La cultura generale è un altro aspetto importante da valutare nel curriculum di un traduttore. Avere competenze specialistiche in un settore è utilissimo ai fini della traduzione, ma è altrettanto importante possedere anche un valido background culturale costruito in ambito accademico.
Per essere un buon traduttore non è obbligatorio essere laureati, tuttavia, una laurea specialistica è sicuramente un ottimo biglietto da visita .
Altrettanto importanti, e forse ancor di più, sono i titoli di studio universitari e i master specifici del settore della traduzione, anche se non sempre sono dei validi indicatori circa la bravura e la competenza di un traduttore. Spesso, la pratica e il talento riescono a compensare efficacemente la mancanza di studi mirati.

Certificazioni da parte di enti accreditati
Spesso, i traduttori, dopo aver terminato il proprio percorso di studi, conseguono titoli, certificati e attestati di vario genere. Possedere tessere di associazioni di categoria (quali AITI e ANITI, ecc.), non dà molte indicazioni circa l’abilità di un traduttore, ma trasmette comunque un’immagine di serietà professionale. Lo stesso ragionamento vale per registrazioni presso camere di commercio, tribunali ed enti simili, così come per i certificati di esami sostenuti presso associazioni professionali o altre organizzazioni del settore.

Esperienza lavorativa nel settore della traduzione
Un traduttore esperto dà maggiori garanzie poiché ha imparato dagli errori fatti in passato ed è lecito ritenere che non li ripeterà di nuovo. Gli anni di carriera forniscono una chiara indicazione sulla fiducia ricevuta dal mercato in modo continuativo.
I traduttori poco capaci sono quasi sempre meteore, i traduttori in gamba continuano a svolgere questa professione nel corso del tempo, segnale inequivocabile della loro capacità di ottenere reddito e quindi della loro bravura.

Esperienza lavorativa in altri settori
Il traduttore ideale è una persona che ha maturato un’esperienza lavorativa in un settore specifico, ottenendo direttamente sul campo nozioni e competenze difficilmente acquisibili con studi prettamente teorici.
È evidente che aver lavorato a certi livelli in un determinato settore, non è una condizione sufficiente a fare di una persona un buon traduttore, ma chi ha intrapreso questo tipo di percorso, parte sicuramente avvantaggiato rispetto a chi ha lavorato unicamente come traduttore.

Competenze specialistiche in uno o più settori
Per eseguire una traduzione di elevata qualità è necessario conoscere in modo approfondito l’argomento trattato nel documento da tradurre e possedere un ottimo bagaglio terminologico nel settore corrispondente. I modi per acquisire tali competenze sono due: quello teorico e quello pratico. Studiando a fondo una materia è possibile raggiungere livelli di assoluta eccellenza. Tuttavia, come abbiamo accennato nel paragrafo precedente, nei settori che richiedono una preparazione tecnica specifica, l’esperienza acquisita sul campo è la migliore possibile.

Conoscenze informatiche generali
Al giorno d’oggi l’informatica è fondamentale in qualsiasi settore. Anche il campo della traduzione non fa eccezione: è impensabile operare in questo settore senza gli adeguati supporti tecnologici. Per questo motivo, è richiesta la perfetta conoscenza dei principali programmi di videoscrittura, dei fogli elettronici, dei programmi di presentazione, dei database, nonché grande dimestichezza nell’utilizzo dello strumento internet.

Talento nel tradurre
Il talento non è qualcosa che si può acquisire con il tempo né tanto meno lo si può apprendere sui banchi di scuola. È una dote innata che semplicemente si ha o non si ha.
Chi è provvisto di talento lo può affinare nel corso del tempo con lo studio e con il lavoro. Al contrario, chi non ce l’ha, difficilmente potrà diventare un traduttore di successo.

Velocità di esecuzione
In un mondo che viaggia a mille all’ora, non è raro che ci vengano richieste traduzioni urgenti o urgentissime. In questi casi, per venire incontro alle esigenze dei clienti, è necessaria grande rapidità d’azione nell’organizzare il progetto da parte dell’agenzia e grande velocità nell’eseguire il lavoro da parte dei traduttori. Naturalmente, chiunque è consapevole che, riducendo i tempi standard di lavorazione, la qualità del prodotto finale si abbassa. Tuttavia, il traduttore deve fare in modo che, pur abbassandosi, rimanga comunque a un livello elevato. Per questo motivo, un’altro dei fattori che viene preso in considerazione dalle agenzie di traduzione è il mix fra rapidità di esecuzione e qualità di traduzione.

Affidabilità
L’affidabilità è sinonimo di serietà, di passione per il proprio lavoro, di puntualità nelle consegne, di qualità di traduzione, di disponibilità e flessibilità.
Un traduttore affidabile è un professionista che possiede tutte queste prerogative e non tradisce mai.
Per ovvi motivi, l’affidabilità è un parametro impossibile da valutare nel breve periodo, la si costruisce gradualmente nel tempo, traduzione dopo traduzione.

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Gli errori che si fanno traducendo da una lingua all’altra

Mi permetto di riportare nel mio blog un articolo firmato da GIAN LUIGI BECCARIA e pubblicato sulla Stampa che offre tanti punti di riflessione sia al traduttore che non traduttore.

Mundane non è mondano

Traducendo da una lingua all’altra si fanno spesso degli errori per via dei cosiddetti «falsi amici», parole che si assomigliano, che hanno una stessa radice, ma vogliono dire cose diverse: lo spagnolo equipaje è il bagaglio e non un equipaggio, l’ingl. dialect non è il «dialetto», ma va tradotto con «varietà (linguistica)», così come il nostro «dialetto» non va tradotto con l’ingl. dialect, ma con vernacular. A chi tocca vivere per un po’ di tempo all’estero capita spesso di osservare queste false corrispondenze. Ricordo l’esempio di Luigi Meneghello quando nel suo libro Il dispatrio (Milano, Rizzoli 1993) citava l’aggettivo inglese mundane, che «non vuol dire “del mondo”, o “mondano” o “alla moda [del mondo]“, ma “ordinario”, “banale [come il mondo]“. Suppone una distinzione tra le cose rare, celesti, e quelle comunali, terra-terra».

Corrispondenza da una lingua all’altra di solito non hanno le locuzioni idiomatiche, quei modi di dire che vivacizzano e colorano le lingue, e sono anche difficili da apprendere. Ci può essere corrispondenza tra una lingua e l’altra, ma di solito ci sono constatiamo variazioni vistose. Noi diciamo «piove a catinelle» e gli inglesi «piove gatti e cani». E «cadere dalla padella alla brace» in romeno è «cadere dal lago nel pozzo», il nostro «avere grilli per il capo» è «avere calabroni in capo», «cavare il sangue da una rapa» è «cavare acqua dalla pietra secca», mentre «prendere due piccioni con una fava» è, ancora in romeno, «prendere due lepri con un colpo (di fucile)».

Ci sono poi i modi di dire appartenenti all’italiano colloquiale-basso, di origine dialettale-regionale, che non sono traducibili alla lettera in altra lingua: andare in vacca «impigrirsi» o «andare a male» e simili, viene dalla bachicoltura, dove le vacche sono quei bachi da seta che non arrivano a fare il bozzolo, perché si ammalano, si afflosciano, marciscono. Non trovi il corrispondente naturalmente in altre lingue.

La spiegazione dei modi di dire è quasi sempre un rompicapo. Se dico facciamoci una croce, nel senso di «non pensiamoci, non occupiamocene più», si potrebbe pensare alla croce che, per concludere un affare, per risolvere una questione, apponeva su un atto notarile chi non sapeva scrivere. Ma il significato dell’espressione è anche «lasciare per sempre una cosa, abbandonarla, promettere che non la si farà più, non volerne più sapere». Quindi potrebbe benissimo evocare il segno della croce che cancella, che annulla, o magari al gesto della croce cristiana quale segno della morte. Chissà!

(fonte: Tuttolibri, in edicola sabato 10 settembre)

GUIDA (non ufficiale) AL RICONOSCIMENTO DELLA PROFESSIONE DI INSEGNANTE IN ITALIA PER GLI ABILITATI CON TITOLO PROFESSIONALE CONSEGUITO IN UNIONE EUROPEA

ai sensi della Direttiva 2005/36/CE e del Decreto Legislativo  6 Novembre 2007, n. 206

I. Documenti di riferimento

–          Direttiva 2005/36/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 7 settembre 2005 che regolamenta il riconoscimento delle qualifiche professionali nell’ambito degli Stati membri  dell’Unione Europea, ratificata dall’Italia con Decreto Legislativo  6 Novembre 2007, n. 206

–          Decreto Legislativo  6 Novembre 2007, n. 206 “Attuazione della direttiva 2005/36/CE relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali, nonché della direttiva 2006/100/CE che adegua determinate direttive sulla libera circolazione delle persone a seguito dell’adesione di Bulgaria e Romania “;

II. Introduzione

Con il  decreto legislativo del 6 novembre 2007, n. 206, l’Italia ha ratificato la  Direttiva Europea 2005/36/CE relativa al sistema di riconoscimento delle qualifiche professionali conseguite all’interno dell’Unione Europea.

Tra queste, quella relativa all’insegnamento, che in Italia, come nel resto dell’U.E. è una professione regolamentata, ovvero può essere svolta solo previa acquisizione di idoneità o abilitazione.

Gli effetti di tale riconoscimento sono quelli previsti:

1)     dall’art. 4, comma 1 della citata Direttiva, ovvero: “Il riconoscimento delle qualifiche professionali da parte dello Stato membro ospitante permette al beneficiario di accedere in tale Stato membro alla stessa professione per la quale è qualificato nello Stato membro d’origine e di esercitarla alle stesse condizioni dei cittadini dello Stato membro ospitante.”

2)     Dall’art. 3, comma 1 del Decreto Legislativo  6 Novembre 2007, n. 206, ovvero: : “Il riconoscimento delle qualifiche professionali operato ai sensi del presente decreto legislativo permette di accedere, se in possesso dei requisiti specificamente previsti, alla professione corrispondente per la quale i soggetti di cui all’articolo 2, comma 1, sono qualificati nello Stato membro d’origine e di esercitarla alle stesse condizioni previste dall’ordinamento italiano.”

Questo significa che, una volta completato e superato l’iter necessario al riconoscimento, il titolo professionale conseguito in uno degli altri Stati U.E. è equiparato in tutto e per tutto a quello conseguito nello Stato ospite, consentendo all’interessato di svolgere la professione riconosciuta alle stesse modalità dei colleghi in possesso di qualifica professionale conseguita in Italia.

In ottemperanza a ciò, l’Italia ha previsto che anche i docenti abilitati in Europa possano accedere alla III fascia delle Graduatorie ad Esaurimento e alla II fascia delle Graduatorie di Istituto.

L’Autorità italiana competente per il riconoscimento delle qualifiche di insegnante nella scuola primaria e secondaria di I e II grado è il Ministero dell’Istruzione Università e Ricerca – Direzione Generale per gli Ordinamenti del Sistema Nazionale di Istruzione e l’Autonomia Scolastica – Ufficio IX

III. Le premesse al riconoscimento

Il requisito fondamentale per poter presentare domanda di riconoscimento in Italia di titolo professionale di docente conseguito in uno Stato membro dell’U.E. è l’essere in possesso di un titolo di studio post-secondario e della necessaria formazione di carattere didattico-pedagogico, conseguiti in Stati U.E. e abilitanti nello Stato di origine all’insegnamento.

E’ perciò requisito fondamentale essere già in possesso di regolare idoneità/abilitazione nello Stato di origine, trattandosi di riconoscimento di tipo professionale e non di equipollenza di un titolo di studio.

La procedura descritta  si riferisce ESCLUSIVAMENTE a titoli conseguiti negli Stati dell’Unione Europea e quindi regolati dalla Direttiva 2005/36/CE. Per titoli conseguiti in Stati stranieri è necessario contattare il Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca  e richiedere la procedura specifica che fa riferimento alla normativa di carattere nazionale.

La professione di insegnante in Italia si articola nelle “classi di concorso”, ovvero nell’elenco di discipline ed insegnamenti che il Ministero predispone e assegna ai vari ordini di scuola.

L’elenco delle classi di concorso vigenti è disponibile nei siti del Ministero. Trattandosi di normativa in evoluzione, è consigliato far riferimento al Ministero.

Prima di procedere alla domanda di riconoscimento è, quindi,  necessario individuare le classi di concorso dell’ordinamento italiano che più corrispondono alla propria formazione professionale posseduto.

E’ inutile, ad esempio,  presentare domanda di riconoscimento qualora si possieda un titolo professionale che consente, nel proprio Stato di origine,  l’insegnamento di una disciplina non presente nell’ordinamento italiano, Ad esempio, non è applicabile la procedura nel caso in cui l’interessato sia in possesso di una abilitazione all’insegnamento della lingua svedese, non essendo previsto tale insegnamento in Italia.

Come disposto dalla Direttiva, lo stato ospitante deve valutare le domande pervenute, verificare se il richiedente è in possesso dei requisiti richiesti e può, in caso, prevedere misure compensative nella forma di esami da sostenere o tirocinio di adattamento. E’ inoltre prevista la certificazione di una competenza linguistica tale da permettere di insegnare la propria disciplina nelle scuole italiane.

Si consiglia comunque di rivolgersi al Ministero per avere conferma di quanto riportato nel presente documento che potrebbe non tener conto di eventuali aggiornamenti o modifiche procedurali.

IV. Documentazione necessaria al riconoscimento

A) Modulo di domanda in bollo compilato in tutte le sue parti.

B) Documenti comprovanti l’abilitazione nello Stato di origine, ovvero:

  1. titolo di studio di livello universitario
  2. certificato attestante gli esami sostenuti con relative valutazioni, valutazione finale, scala di riferimento. E’ utile presentare, se disponibile, il Diploma Supplement
  3. certificati attestanti la formazione di carattere pedagogico (se non inclusa nel piano di studi di cui al punto 2) con relativi esami sostenuti
  4. dichiarazione di conformità alla Direttiva 2005/36/CE rilasciata dall’Autorità dello Stato di origine da cui risulti:
    1. che il titolo professionale conseguito ha valore giuridico nello Stato di origine
    2. che non è stato oggetto di revoca o annullamento
    3. quali sono le discipline di insegnamento oggetto dell’abilitazione e per quali gradi di scuola (es. matematica nella scuola secondaria di II grado)

Tutti i citati documenti devono essere accompagnati da traduzione in lingua italiana asseverata presso il Tribunale. Non è richiesta la legalizzazione consolare né l’Apostille.

Si raccomanda di non spedire gli originali ma una loro copia conforme con allegata  traduzione asseverata.

NOTA: non si deve allegare la cosiddetta “dichiarazione di valore in loco” rilasciata dai consolati italiani la quale non è più richiesta per i titoli conseguiti negli Stati U.E. e non ha alcuna utilità ai fini del riconoscimento professionale
C) Documenta attestante la competenza della lingua italiana, a titolo esemplificativo:

  1. il superamento dell’esame CELI 5 DOC presso l’Università per stranieri di Perugia
  2. una laurea conseguita in Italia
  3. un ciclo completo di istruzione svolto in una scuola in Italia o all’estero dove l’italiano è lingua primaria di insegnamento

Per approfondimento: si rimanda all’allegata Circolare Ministeriale n. 39 del 2005 che norma i requisiti di competenza della lingua richiesti per l’insegnamento.

La documentazione va prodotta in copia conforme.
D) Documenti attestanti l’eventuale esperienza professionale, come titoli di servizio (opportunamente legalizzati e tradotti se svolti in altri Stati) in copia conforme.

Nota: i servizi svolti in scuole dell’U.E. possono produrre punteggio in graduatoria, quindi è buona cosa inviare solo copie conformi dei certificati e trattenere gli originali per usi futuri.
E) curriculum vitae completo (preferibilmente in formato Europass)
F) copia di un documento di identità

Allegare ogni altro documento utile a comprovare la professionalità e l’esperienza maturata, come ad esempio studi successivi, master, ecc. Se svolti all’estero devono essere accompagnati da traduzione asseverata.

V. Come si svolge la procedura

Dopo l’invio dei documenti, la procedura richiede complessivamente circa 4 mesi, salvo il caso in cui la documentazione prodotta risulti insufficiente.

Entro 30 giorni, comunque,  l’Autorità italiana ha facoltà di richiedere eventuali integrazioni della documentazione.

Ha altresì il compito di verificare presso l’Autorità dello Stato d’origine la veridicità della documentazione prodotta. La presentazione di eventuali dichiarazioni mendaci o documentazione falsa o alterata, oltre a bloccare la procedura di riconoscimento,  può produrre sanzioni di carattere penale.

Tutta la documentazione verrà sottoposta alla valutazione  di una Conferenza di Servizi.
La procedura si conclude con:
– un decreto di riconoscimento incondizionato per una o più classi di concorso qualora dalla documentazione e dalla valutazione emerga una formazione ed un’esperienza completa;
– un decreto di riconoscimento condizionato dal superamento di eventuali misure compensative quali prove scritte o orali o tirocinio di adattamento, superate le quali si ottiene il riconoscimento incondizionato;
– un comunicazione di diniego qualora la richiesta non trovi corrispondenza all’ordinamento italiano, ad esempio si richieda un riconoscimento come “insegnante di lingua svedese” non essendovi alcuna classe di concorso corrispondente nell’ordinamento italiano o l’interessato non possa dimostrare l’abilitazione conseguita nello Stato di origine.
Qualora venga emesso un decreto incondizionato, esso sarà pubblicato nella gazzetta ufficiale e costituirà titolo di abilitazione all’insegnamento per una o più classi  di concorso indicate nel decreto.

Tale documento andrà allegato in copia semplice autocertificata, assieme al titolo professionale oggetto di riconoscimento (e sua traduzione) alle richieste di inserimento in graduatoria.

L’abilitazione così ottenuta permette, inoltre, di insegnare nelle scuole paritarie e operare come formatore (se previsto) nella formazione professionale gestita dalle Regioni.

 

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