6 differenze tra professionisti e dilettanti

Specializzazione. Un professionista ha un raggio d’azione ristretto: ciò gli permette di approfondire costantemente le proprie conoscenze e di concentrarsi sull’obiettivo. Trattare dieci argomenti non correlati fra loro significa non acquisire una reale competenza in nessuno di essi.

Accuratezza. Un professionista traduce il senso, non le parole: non ha alcuna paura di trasformare una costruzione negativa in affermativa,unire frasi o spezzarle per migliorare la fluidità del testo ed eliminare i calchi senza alcuna pietà. Un testo tradotto parola per parola è il primo indicatore del fatto che il traduttore è più concentrato sulla produzione che sulla qualità.

Esperienza e formazione.Una laurea aiuta, ma non è indispensabile. L’esperienza è più importante: da quanto tempo lavora quel traduttore? Che tipo di testi traduce? Ha ricevuto dei feedback positivi dai suoi clienti? Potete starne certi: per essere un buon traduttore non è necessario un curriculum di dieci pagine, ma è pur vero che alcuni risultati si raggiungono solo con l’esperienza.

Tariffe. Un professionista sa quanto vale il proprio lavoro, e non ha paura di chiedere un extra per le urgenze o di abbassare le tariffe in caso di grossi volumi.

Onestà. Un professionista può usare la traduzione automatica come bozza, ma in tal caso si parla di “post editing”– e non più di “traduzione”. È un’attività diversa, che implica tariffe,requisiti e metodi di lavoro diversi. Un professionista non consegna un lavoro di post-editing spacciandolo per una vera e propria traduzione: non è etico, e comunque si nota immediatamente.

Comunicazione. Un professionista è in costante contatto con il cliente. Fa domande, propone nuovi termini da inserire nei glossari e segnala se il testo originale presenta qualche falla. Se è in ritardo con la consegna se ne assume la responsabilità e avvisa subito il cliente, provando a trovare insieme a lui una soluzione.

 

Fonte: Articolo scritto da Nadia Hidalgo Diaz e pubblicato il 17 ottobre 2017 sul blog di Smartcat

Fedeltà linguistica o fedeltà al testo?

Ogni volta che un traduttore si trova di fronte a un testo tecnico, gli si pone un dubbio, ossia restare fedeli alla linguistica o al contenuto del testo originale? Si sa, si può tradurre un testo quasi perfetto da un punto di vista strettamente linguistico, ma spesso il risultato è una traduzione approssimativa e insufficiente. Inoltre la sintassi, la morfologia e la semantica creano ancor più difficoltà in quanto il testo tecnico usa un linguaggio più sintetico, utile per descrivere in modo chiaro l’oggetto o il procedimento in questione, ma diventa motivo per il quale il traduttore deve stare molto attento al contenuto semantico e alla reazione che il testo deve produrre nei destinatari. Si possono creare problemi di tipo linguistico-semantico ad esempio la polisemia, la omonimia, i falsi amici, la sinonimia, l’iperonimia, l’iponimia, l’antonimia ecc. Per questa ragione la scelta dei termini è alla base di questo processo, visto che devono esprimere in modo preciso il significato del testo originale. Nel caso di traduzioni giuridiche, medico-scientifiche, socio-economiche ecc. bisogna sempre dare primaria importanza al contenuto e non alla fedeltà linguistica. La traduzione non è mai solo un problema linguistico ma anche un problema che riguarda la cultura, la storia, le tradizioni, il sistema socio-politico e giuridico del paese in questione. Proprio a questo proposito Umberto Eco ha scritto un saggio Riflessioni Teorico-pratiche sulla traduzione affermando che “una fedeltà linguistica permette una fedeltà culturale.” I due principali obiettivi di un traduttore sono: comprendere il significato del testo di partenza e la ricerca della terminologia equivalente nella lingua di arrivo. È evidente che dipende anche dalla tipologia di testo, ad esempio un testo giuridico è caratterizzato da una terminologia specializzata di una professione o di una specifica attività per questo motivo i termini giuridici devono corrispondere a significati univoci.

Ottenere una traduzione quasi perfetta in questo ambito è praticamente impossibile, lo è in ogni settore, ancor di più in campo giuridico; a tal proposito Ortega e Gasset nel loro saggio Miseria e splendore della traduzione, affermano che “è un’utopia credere che due vocaboli appartenenti a due lingue, e che il dizionario ci indica come traduzione l’uno dell’altro, facciano riferimento esattamente agli stessi oggetti”. Il traduttore deve tener presente tutti gli aspetti extra-linguistici prima di iniziare a tradurre. I significati, le connotazioni, le peculiarità semantiche del linguaggio riflettono le tradizioni, la cultura e il sistema del loro paese. Concludo dicendo che conoscere bene una lingua non significa essere un bravo traduttore, tradurre implica un’abilità specifica che richiede competenza traduttiva e il sapere specifico per comprendere le informazioni, a volte molto tecniche, del testo originale, la bravura sta nel riuscire ad esprimerle, traducendole in modo adeguato e corretto.

Autore dell’articolo:
Teresa Sasso

Il traduttore freelance o meglio, il professionista della traduzione

traduttori freelance sono il perno su cui si basa il settore della traduzione. Si tratta di professionisti che operano quasi sempre dietro le quinte ma senza i quali il mondo dell’intermediazione linguistica non esisterebbe neppure.
A loro è dovuto il successo delle agenzie di traduzione e dei progetti dei loro clienti.
I principali criteri che determinano la professionalità di un traduttore sono:
> Padronanza della lingua di destinazione scritta
> Padronanza della lingua di partenza
> Conoscenza della cultura dei paesi dove si parlano le due lingue
> Titoli di studio
> Certificazioni da parte di enti riconosciuti
> Esperienza lavorativa nel settore della traduzione
> Esperienza lavorativa in altri settori
> Competenze specialistiche in uno o più settori
> Conoscenze informatiche generali
> Talento nel tradurre
> Velocità di esecuzione
> Affidabilità

Padronanza della lingua di destinazione scritta
I traduttori traducono normalmente verso la loro lingua d’origine. Il primissimo requisito è pertanto saper scrivere in modo corretto nella propria lingua. Un requisito apparentemente scontato ma che in realtà non lo è affatto. Conoscere alla perfezione le regole grammaticali, ortografiche e sintattiche, ed essere in grado di esprimersi con uno stile adeguato al contesto, non è cosa da tutti. È una prerogativa che si acquisisce con anni di studio teorico seguiti da una pratica costante nel corso del tempo.
È evidente che, nella scelta di un traduttore, la padronanza della lingua scritta è un fattore tanto più importante quanto più ci si avvicina alla traduzione editoriale o addirittura letteraria. Nella traduzione tecnica hanno sicuramente più peso abilità di tipo diverso, come la conoscenza specialistica di un determinato settore.

Padronanza della lingua di partenza
Molti credono che per poter essere traduttori basti parlare una seconda lingua. Non è affatto così. Avere un genitore straniero, aver lavorato o studiato per un breve periodo all’estero o aver vissuto anche a lungo in un contesto bilingue, sono fattori sicuramente positivi ma non sufficienti. La traduzione professionale richiede una conoscenza piena della lingua di partenza, non basta esprimersi in modo corretto a livello orale.
Come per la lingua di destinazione, è fondamentale che il traduttore ne conosca alla perfezione la grammatica, l’ortografia e la sintassi. Per raggiungere questo traguardo sono necessari anni di studio e di letture. Solo così si può arrivare a comprendere in tutta la loro finezza certe costruzioni linguistiche particolari come i giochi di parole, i sottintesi, le frasi fatte, le espressioni colloquiali, le metafore, i proverbi.

Conoscenza della cultura dei paesi dove si parlano le due lingue
L’aspetto culturale è fondamentale per tradurre e localizzare un documento o un sito internet in modo corretto. Una traduzione non è una semplice trasposizione di parole da una lingua ad un’altra. Talvolta in un documento sono presenti concetti che non hanno neppure un corrispondente nella lingua d’arrivo. In altri casi, concetti assolutamente normali ed accettati nella lingua di partenza possono risultare offensivi nella lingua di destinazione. Lo stesso dicasi per le immagini. Per evitare di fare errori grossolani traducendo, è importante conoscere a fondo la cultura, la mentalità e i costumi dei paesi dove vengono parlate le lingue oggetto della traduzione. È pertanto imprescindibile aver vissuto a lungo in tutti e due i paesi e continuare a mantenere un legame con entrambi con viaggi piuttosto frequenti.

Titoli di studio
La cultura generale è un altro aspetto importante da valutare nel curriculum di un traduttore. Avere competenze specialistiche in un settore è utilissimo ai fini della traduzione, ma è altrettanto importante possedere anche un valido background culturale costruito in ambito accademico.
Per essere un buon traduttore non è obbligatorio essere laureati, tuttavia, una laurea specialistica è sicuramente un ottimo biglietto da visita .
Altrettanto importanti, e forse ancor di più, sono i titoli di studio universitari e i master specifici del settore della traduzione, anche se non sempre sono dei validi indicatori circa la bravura e la competenza di un traduttore. Spesso, la pratica e il talento riescono a compensare efficacemente la mancanza di studi mirati.

Certificazioni da parte di enti accreditati
Spesso, i traduttori, dopo aver terminato il proprio percorso di studi, conseguono titoli, certificati e attestati di vario genere. Possedere tessere di associazioni di categoria (quali AITI e ANITI, ecc.), non dà molte indicazioni circa l’abilità di un traduttore, ma trasmette comunque un’immagine di serietà professionale. Lo stesso ragionamento vale per registrazioni presso camere di commercio, tribunali ed enti simili, così come per i certificati di esami sostenuti presso associazioni professionali o altre organizzazioni del settore.

Esperienza lavorativa nel settore della traduzione
Un traduttore esperto dà maggiori garanzie poiché ha imparato dagli errori fatti in passato ed è lecito ritenere che non li ripeterà di nuovo. Gli anni di carriera forniscono una chiara indicazione sulla fiducia ricevuta dal mercato in modo continuativo.
I traduttori poco capaci sono quasi sempre meteore, i traduttori in gamba continuano a svolgere questa professione nel corso del tempo, segnale inequivocabile della loro capacità di ottenere reddito e quindi della loro bravura.

Esperienza lavorativa in altri settori
Il traduttore ideale è una persona che ha maturato un’esperienza lavorativa in un settore specifico, ottenendo direttamente sul campo nozioni e competenze difficilmente acquisibili con studi prettamente teorici.
È evidente che aver lavorato a certi livelli in un determinato settore, non è una condizione sufficiente a fare di una persona un buon traduttore, ma chi ha intrapreso questo tipo di percorso, parte sicuramente avvantaggiato rispetto a chi ha lavorato unicamente come traduttore.

Competenze specialistiche in uno o più settori
Per eseguire una traduzione di elevata qualità è necessario conoscere in modo approfondito l’argomento trattato nel documento da tradurre e possedere un ottimo bagaglio terminologico nel settore corrispondente. I modi per acquisire tali competenze sono due: quello teorico e quello pratico. Studiando a fondo una materia è possibile raggiungere livelli di assoluta eccellenza. Tuttavia, come abbiamo accennato nel paragrafo precedente, nei settori che richiedono una preparazione tecnica specifica, l’esperienza acquisita sul campo è la migliore possibile.

Conoscenze informatiche generali
Al giorno d’oggi l’informatica è fondamentale in qualsiasi settore. Anche il campo della traduzione non fa eccezione: è impensabile operare in questo settore senza gli adeguati supporti tecnologici. Per questo motivo, è richiesta la perfetta conoscenza dei principali programmi di videoscrittura, dei fogli elettronici, dei programmi di presentazione, dei database, nonché grande dimestichezza nell’utilizzo dello strumento internet.

Talento nel tradurre
Il talento non è qualcosa che si può acquisire con il tempo né tanto meno lo si può apprendere sui banchi di scuola. È una dote innata che semplicemente si ha o non si ha.
Chi è provvisto di talento lo può affinare nel corso del tempo con lo studio e con il lavoro. Al contrario, chi non ce l’ha, difficilmente potrà diventare un traduttore di successo.

Velocità di esecuzione
In un mondo che viaggia a mille all’ora, non è raro che ci vengano richieste traduzioni urgenti o urgentissime. In questi casi, per venire incontro alle esigenze dei clienti, è necessaria grande rapidità d’azione nell’organizzare il progetto da parte dell’agenzia e grande velocità nell’eseguire il lavoro da parte dei traduttori. Naturalmente, chiunque è consapevole che, riducendo i tempi standard di lavorazione, la qualità del prodotto finale si abbassa. Tuttavia, il traduttore deve fare in modo che, pur abbassandosi, rimanga comunque a un livello elevato. Per questo motivo, un’altro dei fattori che viene preso in considerazione dalle agenzie di traduzione è il mix fra rapidità di esecuzione e qualità di traduzione.

Affidabilità
L’affidabilità è sinonimo di serietà, di passione per il proprio lavoro, di puntualità nelle consegne, di qualità di traduzione, di disponibilità e flessibilità.
Un traduttore affidabile è un professionista che possiede tutte queste prerogative e non tradisce mai.
Per ovvi motivi, l’affidabilità è un parametro impossibile da valutare nel breve periodo, la si costruisce gradualmente nel tempo, traduzione dopo traduzione.

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Traduzione tecnica, fedele ma non passiva

di Roberto Crivello

 L’intervista a Roberto Crivello Tradurre documenti tecnici dall’inglese è sempre tra le pagine più cliccate di questo sito. E non mi stupisce: per chi scrive per lavoro, l’inglese è ormai una seconda lingua, quella in cui si legge quasi tutto – dai siti internet ai quotidiani – e, sempre più spesso, quella da cui si traduce o da cui si adattano testi che ci servono nel nostro lavoro di ogni giorno. E sempre più spesso capita che in inglese si debba scrivere direttamente, per esempio sul sito internet della nostra azienda. 
Per chi, come me, lavora in un’azienda di informatica o di tecnologie, l’inglese diventa la vera lingua “di servizio” (quelle “del cuore” sono altre). 
Ma non è facile muoversi con dimestichezza tra tante parole straniere, che spesso usiamo pigramente, scimmiottando gli altri, senza chiederci se possiamo usarle o se non sarebbe meglio sforzarci di tradurle in italiano. I risultati della nostra ignoranza e pigrizia spesso sono testi goffi, o esilaranti, o semplicemente ridicoli. E in ambito tecnico possono essere testi pieni di errori. 
Roberto Crivello torna sulle traduzioni tecniche in un lungo e interessante articolo sulla newsletter
Tradurre.
Col suo permesso, ne riproduco alcuni estratti che possono essere utili ai lettori di questo sito. (luisa carrada)


Una delle insidie da cui deve guardarsi il traduttore tecnico è il lento assorbimento del lessico e dei sintagmi della lingua di partenza. Si verifica spesso che calchi o prestiti semantici e sintattici si cristallizzino in moduli “pronti all’uso”, causando un impoverimento nelle scelte terminologiche o stilistiche e tendendo a standardizzare, e in ultima analisi a erodere, la qualità della traduzione. Questo problema, indipendente dal paese in cui vive il traduttore, è contrastabile solo con un uso sorvegliato della lingua. Vediamo alcuni esempi.

1. Nella traduzione di rimandi, spesso il modulo inglese refer to viene tradotto con fare riferimento a (p. es., refer to Chapter 7 tradotto con fare riferimento al capitolo 7 anziché vedi capitolo 7 o, secondo i casi, vedere o si veda il capitolo 7).
Si tende così a usare fare riferimento a, anche quando il contesto richiederebbe di scrivere consultare il manuale, vedere il disegno allegato, vedi figura, leggere la sezione, e così via. 
Una mancanza analoga di flessibilità si verifica quando si traduce refer to con il verbo consultare, scrivendo magari consultare la sezione quando quest’ultima consiste in appena dieci righe di testo, con un involontario effetto ironico che non sfugge al lettore attento.

2. Traducendo documenti tecnici si incontrano spesso rimandi a liste. 
In inglese si parla di numbered list (lista numerata) e unnumbered list (lista non numerata). Quest’ultimo termine, che spesso è una bulleted list, ossia un elenco in cui si adoperano pallini, in italiano viene reso anche con lista puntata.
L’estensione del significato di puntare da “segnare con uno o più punti” a “segnare con uno o più simboli” – in quanto i contrassegni delle voci della lista possono essere pallini, trattini, quadratini, ecc. – è apprezzabile per la sinteticità ottenuta. 
Il problema nasce nel momento in cui il termine lista puntata si cristallizza in un modulo che si ritiene di dover adoperare sempre, come se fosse l’unica traduzione accettabile di bulleted list. Mentre è corretto scrivere lista puntata in un manuale sulla creazione di pagine web in cui si spiegano vari modi con cui mettere in risalto le voci di un elenco, il termine è ridondante nella guida all’uso di un prodotto nella quale lista è un semplice rimando. Per esempio, traducendo la frase For instructions, refer to the bulleted list on page 8, si guadagnerà in snellezza scrivendo Seguire le istruzioni della lista a pagina 8 (se in quella pagina c’è una sola lista e quindi non sono possibili equivoci) o anche soltanto, se il contesto lo permette, Seguire la procedura a pagina 8.
Riepilogando, in genere è corretto seguire letteralmente l’inglese quando il termine e il suo contesto hanno uno scopo didattico o esemplificativo, mentre si può guadagnare in rapidità usando un termine più breve o alternativo quando esso serve solo da riferimento.

3. L’automatismo nell’impiego di certi vocaboli inglesi o dei calchi o prestiti corrispondenti risulta spesso da acquiescenza nei confronti del testo originale, derivante soprattutto da un’analisi mancata o incompleta.
Nei testi di marketing si legge spesso seamless integration (di prodotti o servizi); questa espressione fa parte di una serie di cliché, come state-of-the-art, on the leading edge, user friendly: termini che hanno perso qualunque significato a causa dell’utilizzazione diffusissima e acritica fattane dai pubblicitari.
Fra le traduzioni di seamless integration che ho incontrato, riporto integrazione senza soluzione di continuità e perfetta integrazione (non sorprendentemente, si trova scritto anche integrazione seamless).
Basta un attimo di riflessione per rendersi conto che l’espressione inglese – e quindi le corrispondenti italiane che si modellano su di essa – soffre di un problema di ridondanza: sia l’inglese integration che l’italiano integrazione implicano già i concetti di “fusione armoniosa tra più parti di un sistema” o “completamento mediante l’aggiunta di opportuni elementi complementari”.
Invece potrebbe essere utile o necessario specificare che attuare un’integrazione può essere, per esempio, più o meno rapido, più o meno agevole. Ma spesso si ritiene che poiché seamless compare nell’espressione inglese, l’aggettivo debba essere tradotto a tutti i costi con perfetto, uniforme, ininterrotto o altre parole reperibili nei dizionari bilingue, ossia termini teoricamente corretti ma avulsi dal contesto; ne consegue, sia pure inconsapevolmente, un luogo comune. 

La cristallizzazione del modulo inglese e la sua riproduzione passiva nella traduzione conducono quindi a un’analoga cristallizzazione di moduli corrispondenti italiani, che potrebbe essere evitata con espressioni alternative che hanno il pregio dell’originalità o almeno della mancanza di banalità.