11+2=12+1

Franco Nasi, saggista e traduttore, insegna Letteratura italiana contemporanea e Teoria della traduzione all’Università di Modena e Reggio Emilia. Ha tradotto poeti contemporanei americani e inglesi fra cui Roger McGough e Billy Collins. Sulla traduzione ha scritto Poetiche in transito(Milano 2004), La malinconia del traduttore (Milano 2008), Specchi comunicanti (Milano 2010). Con Angela Albanese ha curato I dilemmi del traduttore di nonsense (Ravenna 2012).

Franco Nasi

L’equivalenza che si vede nel titolo è ovvia. Ma se la pronunciamo in inglese (Eleven plus two is Twelve plus one) anziché in italiano (Undici più due è Dodici più uno) ci accorgiamo, forse, che fra le lettere succede qualcosa di diverso: Eleven plus two è legato a Twelve plus one dal vincolo dell’anagramma. Si potrebbe trattare di una curiosa coincidenza e la cosa finirebbe lì. Ma se quella “doppia” equivalenza inglese fosse anche un verso di una poesia che ha
come titolo Anagrammer, e noi fossimo chiamati a tradurla, la curiosa coincidenza diventerebbe immediatamente un bel rompicapo.

La poesia di Peter Pereira, poeta americano dell’Oregon, si trova in un’antologia curata da Billy Collins intitolata 180 more. Extraordinary Poems for Every Day (Random House, 2005) e rivolta in particolare ai giovani delle scuole superiori americane. Inizia così:

If you believe in the magic of language,

then Elvis really Lives

and Princess Diana foretold  I end as car spin

Credo che a qualunque traduttore venga voglia almeno di provarci. Io ci ho provato, ma poi, quasi subito, davanti all’anagramma della principessa Diana che prevede di morire a bordo di un’auto in testa-coda mi sono arreso. Però siccome non credo che esistano traduzioni impossibili, ho scritto a Stefano Bartezzaghi. Nella traduzione, come in quasi ogni altra cosa, basta chiedere alle persone giuste. Due giorni dopo la sua immancabile risposta, con la traduzione di tutta la poesia, pubblicata in seguito integralmente sulla rivista “Hope” (n. 15, 2008, pp. 42-43). Nella lunga e sorprendente sequela di soluzioni, Bartezzaghi proponeva anche la versione italiana dell’equivalenza numerica: Tredici più otto è Diciotto più tre. Come succede spesso quando si leggono le traduzioni di frasi apparentemente impossibili si resta sorpresi della ovvietà della soluzione. È sempre così. Però il più è trovarle. Chapeau.

Qualche tempo fa mostrai la poesia di Pereira e la traduzione di Bartezzaghi a un gruppo di studenti, raccomandando loro di tenere a mente la traduzione dell’anagramma aritmetico come cosa simpatica da raccontare, come monito a non deporre mai le armi di fronte a una traduzione estrema, e comunque a pensare sempre che il fatto di non riuscire a tradurre non significa che qualcun altro non possa farlo. Una settimana dopo, al termine della lezione, una studentessa, Rexhina Dibra, con fare un po’ impacciato, quasi vergognandosi, mi disse che a casa, ripensando alla traduzione di Bartezzaghi, aveva notato che Eleven plus twoè formato da 13 lettere, e che questo numero è anche la somma di 11 e 2, mentre in italiano Tredici più otto è formato da 14 lettere e la somma è 21. Quindi, forse,  nella soluzione non venivano rispettati tutti i vincoli, intenzionali o meno che fossero. Questi sono i momenti in cui un insegnante si sente da un lato disarmato perché non sa proprio che cosa dire, dall’altro gratificato dal constatare che è riuscito a fare entrare qualche tarlo nella testa degli studenti. Nuovo consulto con Bartezzaghi, e nuova soluzione che tiene conto dei due vincoli: Il tredici sommato a otto (21 lettere) è Il diciotto sommato a tre. L’obiettivo è raggiunto con l’inclusione di un paio di zeppe (come le chiamano i poeti).

Di recente ho raccontato la complessità crescente dell’esercizio traduttivo a un incontro sulla traduzione alle Murate di Firenze. La sera a casa ho ricevuto una mail da una persona, a me sconosciuta, presente all’incontro. Con la stessa discrezione con cui la studentessa mi aveva fatto presente l’ulteriore vincolo, Silvia Rogai, una giovane e bravissima traduttrice, mi faceva notare che la soluzione con le zeppe era acuta, ma meno fluida dell’originale. Insomma, zoppicava, perdeva ritmo e immediatezza.  “Così – mi scrive – mi è venuta in mente un’altra soluzione, senza niente togliere ovviamente al grande Bartezzaghi: Quattordici più tre è Tredici più quattro. 14+3 è anagramma di 13+4 in italiano, e la loro somma è 17, come il numero di lettere che compongono la somma. Doppio chapeau.

Mi piace constatare che si è arrivati a questa soluzione brillante e semplice in un ex convento e poi ex carcere ora trasformato in luogo di incontri culturali (le Murate di Firenze). Anche perché la traduzione è monacale e si fa spesso in solitudine, ma è anche conventuale e per essenza dialogica: monastero-convento; ha a che fare con i vincoli, con i ceppi che venivano messi alle caviglie dei prigionieri (captivus è il termine latino per prigioniero), ma anche con quel rigore e quella cattiveria che, come nota Stefano Bartezzaghi, è anagramma di “creatività”.

 

P.S. Ho scritto al poeta americano Peter Pereira raccontandogli la storiella della traduzione dell’anagramma e chiedendogli se si fosse accorto della coincidenza fra il risultato della somma e il numero di lettere che compongono Eleven plus two. Come immaginavo, la sua reazione è stata di sorpresa: “I had no idea… Amazing”. A riprova forse del fatto che i testi vivono di vita propria.

 

 

©Franco Nasi

Il traduttore come esportatore di essenze

Il darsi della socialità è essenzialmente il darsi di un linguaggio. Che sia un linguaggio dotato della parola oppure no, non cambia molto. Ciò che è il nocciolo della questione è la necessità di comunicare qualcosa. Questo qualcosa che desideriamo comunicare è sempre parte integrante della nostra identità personale, tant’è che anche nel caso in cui sia presente il linguaggio propriamente detto, cioè quello dotato della forza simbolica della parola, la comunicazione è sempre accompagnata da aspetti che parola non sono. Tutto questo strascico prelinguistico è formato gesti, cenni, atteggiamenti, riferimenti impliciti, qualcosa che di solito va sotto il nome di “contesto”.

È inevitabile, quindi, che nell’atto della comunicazione si vada sempre oltre la semplice e mera trasmissione di dati asettici da un soggetto all’altro: in ogni atto comunicativo degno di questo nome si mette in gioco la propria identità personale, poiché con la propria identità personale si contribuisce a dire ciò che si dice.

L’esperienza dell’apprendimento di un’altra lingua rispetto alla propria lingua madre è una delle esperienze più arricchenti che una persona possa fare. Avendo acquisito una lingua in tenera età, l’identità personale si è costruita di pari passo secondo le potenzialità espressive che il linguaggio offre, e quando si apprende un linguaggio più o meno estraneo a quello originario subito si presenta la sfida di potersi esprimere in modo soddisfacente secondo il nuovo linguaggio, mirando all’aderenza ideale che già si possiede nella propria lingua di provenienza. Questo dovrebbe essere l’ideale di qualsiasi traduttore, quello cioè di puntare all’aderenza perfetta tra due lingue, o linguaggi, diversi, con la conseguenza che la priorità sarà quella di non tradire l’originale per quanto ostico sia rendere in altro idioma quello che originariamente un pensiero intendeva.

Proprio qui sta il talento del traduttore, che è quasi una vocazione: quello di essere un esportatore di essenze. Oltre che essere in parte innato, questo talento va esercitato ed affinato giorno per giorno.  Ora, l’apprendimento di una lingua straniera (o, per meglio dire, di una lingua estranea, giacché tutto quello che non ci è familiare in un primo momento ci è estraneo) è sempre legato alla familiarizzazione con una cultura: non è possibile assimilare una certa lingua senza assimilare un po’ anche la cultura ad essa legata. E la cultura è in primis contesto. Il traduttore, dunque, lungi dall’essere solo un efficiente dizionario di parole, è una sorta di dizionario di contesti, di concetti, di situazioni culturali; una specie di giocoliere di sinonimi e contrari interculturali.

A prescindere dalla cultura di appartenenza, ciò che accomuna gli esseri umani (e gli esseri in toto) è precisamente la condivisione di quanto più intimo si possiede: i significati fondamentali che si stagliano nelle nostre ricorrenze quotidiane. Poiché ciò che dà il massimo senso di comunione è la comprensione di noi stessi ad opera dell’Altro.

Articolo scritto da:
Loris Pasinato
Dottore di ricerca in filosofia e traduttore editoriale

Traduzione ed empatia

Cosa ci fa esteticamente piacere in un’opera d’arte? Questa, nella filosofia dell’arte e nell’estetica, è una domanda classica. I filosofi hanno cercato di spiegare che tipo di relazione, tra i soggetti e le forme artistiche, rende comprensibile quel sentimento di rapimento e piacere che, a volte, sperimentiamo guardando una chiesa, un dipinto o una scultura.

Una delle risposte più apprezzate è stata data da filosofi e psicologi del tardo diciannovesimo secolo, quali Robert Vischer, Heinrich Wölfflin o Theodor Lipps. In breve, la loro riflessione si focalizzava sul concetto di empatia (Einfühlung) che viene descritta come un’inconscia assegnazione di una nostra personale caratteristica organica all’opera d’arte che si trova davanti a noi. Queste attribuzioni, dunque, sarebbero provate dall’osservatore che, percependo soltanto il suo proprio stato emotivo e le sue proprie facoltà fisiche, ritiene appartengano all’opera d’arte, traendo piacere da essa come se fosse piena di vita.

L’empatia fu dunque definita come la capacità di “sentirsi dentro” (Ein-fühlung) l’oggetto, di renderlo vivo mediante l’ingresso nel suo dominio fino al punto in cui la distinzione soggetto/oggetto diventa sfocata.

L’idea che possiamo sviluppare empatia con le cose, oltre che con altri esseri viventi, non è forse così strana. Noi creiamo relazioni speciali con i nostri oggetti quotidiani preferiti, che siano essi un libro, un capo d’abbigliamento o una bicicletta. Infondiamo in questi oggetti un’anima e riconosciamo in essi un valore molto più grande del suo prezzo di mercato. Diventano speciali e li trattiamo particolarmente bene. L’empatia è una questione di trasportare le nostre emozioni e sentimenti ad altre entità e di comprendere, rispettare, amare queste.

Come tutto questo viene messo in relazione con il lavoro del traduttore? Per prima cosa, non c’è alcun dubbio che l’oggetto “testo” deve essere trattato analiticamente e la stessa traduzione come un processo tecnico. Tuttavia, se il testo è visto puramente come una “cosa” inanimata, esso resterà, in un certo senso, estraneo al traduttore.

Se l’oggetto davanti a noi è un testo, possiamo guardarlo come una “cosa” inanimata e procedere a tradurlo in un’altra “cosa”. Tuttavia, la mancanza di “sentirsi dentro” il testo non permetterà al traduttore di comprenderlo nei suoi più profondi aspetti, né di provare piacere per esso come oggetto estetico. In molti casi questa capacità è interamente necessaria. Se, infatti, come afferma Walter Benjamin, c’è un linguaggio puro dietro ad ogni testo, allora questa purezza può essere provata soltanto da un movimento empatico. La vera comunicazione implica una comprensione di tutte le dimensioni del messaggio, la quale, a sua volta, include il prendersi cura del testo come fosse un essere attivo.

L’empatia è stata segnalata come una delle caratteristiche che ci differenzia dalle macchine. Questo è un altro motivo per il quale la traduzione di una macchina è diversa da quella umana. Tuttavia, questo dimostra tutto eccetto un’insormontabile crepa all’interno dei servizi di traduzione. Piuttosto, ciò evidenzia come lo sviluppo della tecnologia si fonderà asintoticamente con “l’elemento umano”. Entrambi restano necessari per raggiungere il miglior risultato possibile.

Fonte: Articolo pubblicato il 23 giugno 2014 su Multilizer Translation Blog

Chi può ottenere la cittadinanza italiana?

 

La cittadinanza italiana

Attualmente la cittadinanza italiana è regolata dalla legge 5 febbraio 1992, n. 91 (e relativi regolamenti di esecuzione: in particolare il DPR 12 ottobre 1993, n. 572 e il DPR 18 aprile 1994, n. 362) che, a differenza della legge precedente, rivaluta il peso della volontà individuale nell’acquisto e nella perdita della cittadinanza e riconosce il diritto alla titolarità contemporanea di più cittadinanze.

I principi su cui si basa la cittadinanza italiana sono:

• la trasmissibilità della cittadinanza per discendenza (principio dello “ius sanguinis”);

• l’acquisto “iure soli” (per nascita sul territorio) in alcuni casi;

• la possibilità della doppia cittadinanza;

• la manifestazione di volontà per acquisto e perdita;

Acquisto della cittadinanza

La cittadinanza italiana può essere acquisita secondo le modalità di seguito riportate:

1. Cittadinanza per filiazione (“ius sanguinis”)

L’art. 1 della legge n. 91/92 stabilisce che è cittadino per nascita il figlio di padre o madre cittadini. Viene, quindi, confermato il principio dello ius sanguinis, già presente nella previgente legislazione, come principio cardine per l’acquisto della cittadinanza mentre lo ius soli resta un’ipotesi eccezionale e residuale.

Nel dichiarare esplicitamente che anche la madre trasmette la cittadinanza, l’articolo recepisce in pieno il principio di parità tra uomo e donna per quanto attiene alla trasmissione dello status civitatis.

Riconoscimento del possesso della cittadinanza agli stranieri discendenti da avo italiano emigrato in Paesi ove vige lo ius soli.

La legge del 1912, sebbene all’art. 1 confermasse il principio del riconoscimento della cittadinanza italiana per derivazione paterna al figlio del cittadino a prescindere dal luogo di nascita già stabilito nel codice civile del 1865, all’art. 7 intese garantire ai figli dei nostri emigrati il mantenimento del legame con il Paese di origine degli ascendenti, introducendo un’importante eccezione al principio dell’unicità della cittadinanza.

L’art. 7 della legge 555/1912 consentiva, infatti, al figlio di italiano nato in uno Stato estero che gli aveva attribuito la propria cittadinanza secondo il principio dello ius soli, di conservare la cittadinanza italiana acquisita alla nascita, anche se il genitore durante la sua minore età ne incorreva nella perdita, riconoscendo quindi all’interessato la rilevante facoltà di rinunciarvi al raggiungimento della maggiore età, se residente all’estero.

Tale norma speciale derogava, oltre al principio dell’unicità di cittadinanza, anche a quello della dipendenza delle sorti della cittadinanza del figlio minore da quelle del padre, sancito in via ordinaria dall’art. 12 della medesima legge n. 555\1912.

Le condizioni richieste per tale riconoscimento si basano perciò, da un lato sulla dimostrazione della discendenza dal soggetto originariamente investito dello status di cittadino (l’avo emigrato) e, dall’altro, sulla prova dell’assenza di interruzioni nella trasmissione della cittadinanza (mancata naturalizzazione straniera dell’avo dante causa prima della nascita del figlio, assenza di dichiarazioni di rinuncia alla cittadinanza italiana da parte degli ulteriori discendenti prima della nascita della successiva generazione, a dimostrazione che la catena di trasmissioni della cittadinanza non si sia interrotta).

Relativamente alle modalità del procedimento di riconoscimento del possesso iure sanguinis della cittadinanza italiana, le stesse sono state puntualmente formalizzate nella circolare n. K.28.1 dell’8 aprile 1991 del Ministero dell’Interno, la cui validità giuridica non risulta intaccata dalla successiva entrata in vigore della legge n. 91/1992.

L’autorità competente ad effettuare l’accertamento è determinata in base al luogo di residenza: per i residenti all’estero è l’Ufficio consolare territorialmente competente.

La procedura per il riconoscimento si sviluppa nei passaggi di seguito indicati:

accertare che la discendenza abbia inizio da un avo italiano (non ci sono limiti di generazioni); accertare che l’avo cittadino italiano abbia mantenuto la cittadinanza sino alla nascita del discendente. La mancata naturalizzazione o la data di un’eventuale naturalizzazione dell’avo deve essere comprovata mediante attestazione rilasciata dalla competente Autorità straniera; comprovare la discendenza dall’avo italiano mediante gli atti di stato civile di nascita e di matrimonio; atti che devono essere in regola con la legalizzazione, se richiesta, e muniti di traduzione ufficiale. A tal proposito è opportuno ricordare che la trasmissione della cittadinanza italiana può avvenire anche per via materna solo per i figli nati dopo il 01.01.1948, data di entrata in vigore della Costituzione; attestare che né l’istante né gli ascendenti hanno mai rinunciato alla cittadinanza italiana interrompendo la catena di trasmissione della cittadinanza, mediante appositi certificati rilasciati dalle competenti Autorità diplomatico consolari italiane.

Il richiedente ha l’onere di presentare l’istanza corredata dalla prescritta documentazione, regolare e completa, volta a dimostrare gli aspetti sopra elencati.

L’istanza deve essere presentata all’Ufficio consolare nell’ambito della cui circoscrizione risiede lo straniero originario italiano.

2. Cittadinanza per nascita sul territorio italiano  (“ius soli”)

Acquista la cittadinanza italiana:

– colui i cui genitori siano ignoti o apolidi o non trasmettano la propria cittadinanza al figlio secondo la legge dello Stato del quale sono cittadini (art. 1, comma 1, lettera b legge n. 91/92);

– il figlio di ignoti che venga trovato abbandonato in territorio italiano e di cui non si riesca a determinare la cittadinanza (art. 1, comma 2 legge n. 91/92).

3. Acquisto della cittadinanza durante la minore età

Particolare attenzione è riservata dalla legge n. 91/92 all’acquisto della cittadinanza durante la minore età a seguito di:

a) riconoscimento o dichiarazione giudiziale della filiazione;

b) adozione;

c) naturalizzazione del genitore.

a) Cittadinanza per riconoscimento o per dichiarazione giudiziale della filiazione  

È cittadino italiano il minore che viene riconosciuto come figlio da un cittadino italiano o che è dichiarato figlio di un cittadino italiano da parte di un giudice (art. 2, comma 1 legge n. 91/92).

In caso il riconoscimento o la dichiarazione giudiziale riguardino un maggiorenne, questi acquista la cittadinanza italiana solo se entro un anno dal provvedimento esprime la propria volontà in tal senso, attraverso una ”elezione di cittadinanza” (art. 2, comma 2 legge n. 91/92).

In caso il riconoscimento o la dichiarazione giudiziale riguardino un maggiorenne, ai sensi dell’art. 3 del D.P.R. 12.10.1993, n. 572 (Regolamento di attuazione della legge n. 91/92) la dichiarazione di elezione della cittadinanza di cui all’art. 2, comma 2 della legge deve essere corredata dei seguenti atti:

– atto di nascita (ai fini dell’esatta individuazione dell’interessato);

– atto di riconoscimento o copia autenticata della sentenza con cui viene dichiarata la paternità o la maternità;

– certificato di cittadinanza del genitore.

Detti ultimi atti costituiscono il presupposto per richiedere il beneficio in esame.

E’ da osservare, infine, che la dichiarazione giudiziale di riconoscimento potrebbe essere stata effettuata all’estero: in questo caso il computo del periodo di un anno per rendere la dichiarazione di elezione della cittadinanza deve effettuarsi dalla data in cui viene reso efficace in Italia il provvedimento straniero.

b) Cittadinanza per adozione

Acquista la cittadinanza italiana il minore straniero adottato da cittadino italiano mediante provvedimento dell’Autorità Giudiziaria italiana ovvero, in caso di adozione pronunciata all’estero, mediante provvedimento dell’Autorità straniera reso efficace in Italia con ordine (emanato dal Tribunale per i minorenni) di trascrizione nei registri dello stato civile.

Se l’adottato è maggiorenne, può acquistare la cittadinanza italiana per naturalizzazione trascorsi 5 anni di residenza legale in Italia dopo l’adozione.

c) Per naturalizzazione dei genitori

Secondo l’art. 14 della legge 91/92 “I figli minori di chi acquista o riacquista la cittadinanza italiana, se convivono con esso, acquistano la cittadinanza italiana, ma, divenuti maggiorenni, possono rinunciarvi, se in possesso di altra cittadinanza”.

L’acquisto interviene, quindi, avviene automaticamente alla sola condizione della convivenza e sempre che si tratti di un soggetto minorenne secondo l’ordinamento italiano.

Perché il genitore divenuto italiano possa trasmettere il nostro status civitatis al figlio, occorrono pertanto che ricorrano tre condizioni:

il rapporto di filiazione; la minore età del figlio; la convivenza con il genitore.

L’art. 12 del D.P.R. n. 572/93 ha specificato che la convivenza deve essere stabile ed effettiva ed attestata con idonea documentazione, deve inoltre sussistere al momento dell’acquisto o del riacquisto della cittadinanza del genitore.

4. Acquisto della cittadinanza per beneficio di legge

La fattispecie, regolata dall’art. 4 della legge n. 91/92, si riferisce ad ipotesi che trovano applicazione solo sul territorio italiano. Per la relativa disciplina si rinvia, pertanto, al Ministero dell’Interno.

5. Cittadinanza per matrimono con cittadino/a italiano/a

L’acquisto della cittadinanza da parte del coniuge straniero o apolide di cittadino italiano è disciplinato dagli artt. 5, 6, 7 e 8 della legge 91/92.

Il coniuge straniero può acquistare la cittadinanza italiana su domanda, in presenza dei seguenti requisiti:

in Italia: due anni di residenza legale dopo il matrimonio; all’estero: tre anni dopo il matrimonio. Tali termini sono ridotti della metà in presenza di figli nati o adottati dai coniugi; validità del matrimonio e permanenza del vincolo coniugale fino all’adozione del decreto; assenza di sentenze di condanna per reati per i quali sia prevista una pena non inferiore nel massimo a tre anni di reclusione o di sentenze di condanna da parte di un’Autorità giudiziaria straniera ad una pena superiore ad un anno per reati non politici; assenza di condanne per uno dei delitti previsti nel libro secondo, titolo I, capi I, II e III del codice penale (delitti contro la personalità dello Stato); assenza di motivi ostativi per la sicurezza della Repubblica.

La domanda di acquisto della cittadinanza, indirizzata al Ministro dell’Interno, va presentata, in caso di residenza all’estero, all’Ufficio consolare territorialmente competente utilizzando l’apposito modulo che deve essere debitamente compilato in ogni sua parte e sottoscritto. Ove il richiedente sia un cittadino extracomunitario la firma deve essere autenticata dall’Ufficio consolare che riceve la domanda.

In caso di istanza presentata all’estero, il richiedente deve allegare la seguente documentazione legalizzata e tradotta:

atto di nascita completo di tutte le generalità, ovvero, in caso di documentata impossibilità, attestazione rilasciata dall’Autorità diplomatico-consolare del Paese di origine nella quale si indicano le esatte generalità (nome, cognome, data e luogo di nascita), nonché paternità e maternità dell’istante; certificati penali del Paese di origine e degli eventuali Paesi terzi di residenza; certificato di residenza o documento equipollente; estratto per riassunto dai registri di matrimonio rilasciato dal Comune italiano presso il quale è stato iscritto o trascritto il relativo atto (non certificato o copia dell’atto di matrimonio); certificato di cittadinanza italiana del coniuge in bollo; copia del passaporto (munita di traduzione ufficiale in lingua italiana, ove il documento non contenga indicazioni redatte, oltre che nella lingua originale, anche in lingua inglese o francese), autenticata dalla Rappresentanza diplomatico-consolare dello Stato che lo ha rilasciato; certificato di stato di famiglia, in bollo. Ricevuta del pagamento del contributo di 200 euro.

In base all’art. 4, comma 5 del D.P.R. n. 572/93 è facoltà del Ministero dell’Interno di richiedere, a seconda dei casi, altri documenti.

Si ricorda che, ai sensi della direttiva del Ministro dell’Interno del 7 marzo 2012, a partire dal 1° giugno 2012 la competenza ad emanare i decreti di concessione della cittadinanza spetta:- al Prefetto per le domande presentate dallo straniero legalmente residente in Italia;

– al Capo del dipartimento per le Libertà Civili e l’Immigrazione, qualora il coniuge straniero abbia la residenza all’estero;

– al Ministro dell’Interno nel caso sussistano ragioni inerenti alla sicurezza della Repubblica.

I seguenti atti: estratto dell’atto di matrimonio, certificato di stato di famiglia, certificato di cittadinanza italiana del coniuge sono sostituiti, qualora il richiedente sia cittadino UE, da autocertificazione ai sensi del D.P.R. 445/2000 e da ultimo dalla legge 183/2011.

Il richiedente cittadino di un Paese non aderente all’Unione Europea può essere esonerato dalla presentazione dell’estratto dell’atto di matrimonio, del certificato di stato di famiglia e del certificato di cittadinanza italiana del coniuge, qualora tali atti siano già in possesso della Rappresentanza diplomatico consolare. A tal fine è necessario che:

a. il richiedente dichiari nella domanda che l’estratto dell’atto di matrimonio, il certificato di stato di famiglia e il certificato di cittadinanza italiana del coniuge sono già in possesso dell’Ufficio consolare, indicando il Comune italiano dove l’atto è stato trascritto, la data di celebrazione del matrimonio e, ove in suo possesso, gli estremi della trascrizione;

b. l’Ufficio consolare attesti che i dati riportati dall’istante nella domanda sono stati verificati e corrispondono ai suddetti atti in possesso della Sede.

Si suggerisce ad ogni buon fine di consultare il sito web della Rappresentanza competente per residenza.

6. Acquisto per residenza

L’art. 9 della legge contempla l’istituto della concessione della cittadinanza italiana mediante Decreto del Presidente della Repubblica, prevedendo modalità differenziate in considerazione di specifici requisiti degli aspiranti e graduando il periodo di residenza legale occorrente per legittimare la proposizione della relativa istanza.

In via ordinaria viene richiesta una residenza legale sul territorio dello Stato di almeno 10 anni per gli stranieri non comunitari (art. 9, lett. f), ma numerosi sono i casi per i quali il periodo di residenza occorrente è inferiore:

– 3 anni di residenza legale: per lo straniero di cui il padre o la madre o uno degli ascendenti in linea retta di secondo grado sono stati italiani per nascita o per lo straniero nato in Italia e ivi residente;

– 4 anni per il cittadino di uno Stato aderente alle Comunità Europee;

– 5 anni di residenza legale successivi all’adozione per lo straniero maggiorenne; successivi al riconoscimento dello status per l’apolide o il rifugiato politico.

Non è previsto il requisito della residenza per lo straniero che ha prestato servizio anche all’estero per lo Stato Italiano per almeno cinque anni (lettera c dell’art. 9).

Riferendosi ad ipotesi che trovano applicazione solo sul territorio italiano, si rinvia per la relativa disciplina al Ministero dell’Interno.

7. Concessione della cittadinanza per meriti speciali

Il secondo comma dell’art. 9 dispone che la cittadinanza italiana può essere concessa con Decreto del Presidente della Repubblica sentito il Consiglio di Stato e previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell’Interno, di concerto con il Ministro degli Affari Esteri, allo straniero che abbia reso eminenti servizi all’Italia, ovvero quando ricorra un eccezionale interesse dello Stato.

L’avvio della procedura non richiede un atto di impulso del soggetto interessato, ma necessita di una proposta avanzata da enti, personalità pubbliche, associazioni ecc. che comprovino una diffusa valutazione circa la sussistenza dei requisiti previsti dalla legge in capo all’eventuale destinatario.

La procedura prevede l’acquisto dei pareri degli Organismi di sicurezza e, per i residenti in Italia, della Prefettura del luogo di residenza.

E’ comunque necessario acquisire la dichiarazione di assenso dell’interessato all’acquisto della cittadinanza.

Anche in questa ipotesi di acquisto, il decreto presidenziale di concessione della cittadinanza italiana non ha efficacia se l’interessato, ove residente all’estero, non presti, davanti all’Ufficio Consolare competente, il giuramento di fedeltà alla Repubblica previsto dall’art. 10 della legge.

Il conseguimento del nostro status civitatis decorrerà dal giorno successivo a quello del giuramento.

8. Riconoscimento della cittadinanza italiana in base a leggi speciali

Legge 14 dicembre 2000, n. 379

La dichiarazione tesa a ottenere il riconoscimento della cittadinanza italiana a favore delle persone nate e già residenti nei territori dell’ex Impero austro-ungarico e ai loro discendenti ai sensi della legge 379/2000 poteva essere resa entro il 20 dicembre 2010 davanti all’Ufficio consolare italiano se il richiedente risiedeva all’estero oppure davanti all’Ufficiale di stato civile del Comune se il richiedente risiedeva in Italia.

Le dichiarazioni presentate nei termini sono esaminate da una commissione interministeriale, istituita presso il Ministero dell’Interno, che esprime il proprio parere in ordine alla sussistenza dei requisiti richiesti dalla legge. Qualora il parere sia favorevole il Ministero dell’Interno rilascia un nulla osta al riconoscimento.

I requisiti necessari per il riconoscimento della cittadinanza italiana sono:

– nascita e residenza dell’avo nei territori già appartenenti all’Impero austro-ungarico e acquisiti dall’Italia alla fine della prima guerra mondiale in attuazione del Trattato di San Germano;

– emigrazione all’estero dell’avo nel periodo compreso tra il 25 dicembre 1867 e il 16 luglio 1920.

Legge 8 marzo 2006, n. 124

Prevede il riconoscimento della cittadinanza italiana a favore:

1 dei connazionali residenti dal 1940 al 1947 in Istria, Fiume e Dalmazia, che hanno perso la cittadinanza italiana allorché tali territori furono ceduti alla Repubblica Jugoslava in forza dei trattati di Parigi del 10 febbraio 1947, e ai loro discendenti;

2 dei connazionali residenti sino al 1977 nella zona B dell’ex Territorio Libero di Trieste che hanno perso la cittadinanza italiana allorché tale territorio venne ceduto alla Repubblica Jugoslava in forza del trattato di Osimo del 10 novembre 1975, e ai loro discendenti.

L’istanza va presentata all’Ufficio consolare italiano se il richiedente risiede all’estero o al Comune se risiede in Italia.

Occorre distinguere due distinte categorie di beneficiari

A. Soggetti destinatari dell’art.19 del Trattato di Pace di Parigi, in quanto già residenti nei territori ceduti nel 1947.

Al fine di comprovare la sussistenza dei requisiti richiesti dall’art. 17 bis, comma 1, lett. a) della legge n. 91/92, sono allegati all’istanza di riconoscimento i seguenti documenti:

a) atto di nascita, possibilmente su modello internazionale;

b) certificato attestante il possesso della cittadinanza straniera;

c) certificato di attuale residenza;

d) certificazione o documentazione idonea a dimostrare la residenza alla data del 10.6.1940 nei territori ceduti all’ex Repubblica Federativa Socialista Jugoslava;

e) certificazione dalla quale risulti che l’interessato alla data del 15.9.1947 – data di entrata in vigore del Trattato di Pace di Parigi – era cittadino italiano (oppure documentazione equipollente quale foglio matricolare, passaporto, ecc.);

f) attestazione rilasciata da eventuali Circoli, Associazioni o Comunità di italiani presenti sul territorio estero di residenza, dalla quale risulti la data di iscrizione, la lingua usuale dell’interessato ed ogni altro utile elemento comprovante la conoscenza della lingua italiana;

g) ogni altra utile documentazione comprovante la lingua usuale dell’interessato (ad esempio copia di attestati di frequenza di scuole di lingua italiana, pagelle scolastiche, ecc.). I figli o discendenti in linea retta dei beneficiari dell’art. 19 del succitato Trattato di Pace di Parigi, che intendono avvalersi dell’art.17-bis, comma 1, lett. b), allegheranno all’istanza di riconoscimento della cittadinanza italiana i seguenti documenti:

certificazione o documentazione dalla quale risulti il possesso, da parte del proprio genitore o dell’ascendente in linea retta, dei requisiti di cui ai sopracitati punti d-e-f-g;

certificato di nascita attestante il rapporto di discendenza diretta tra il richiedente e il genitore o ascendente;

certificato attestante il possesso della cittadinanza straniera;

attestazione rilasciata da eventuali Associazioni o Comunità di italiani, presenti sul territorio estero di residenza, dalla quale risulti la conoscenza, da parte del richiedente, della lingua e cultura italiane;

ogni altra utile documentazione idonea a comprovare la conoscenza, da parte del richiedente, della lingua e cultura italiane.

B. Soggetti destinatari delle disposizioni di cui all’art. 3 del Trattato di Osimo, già residenti nel territorio della zona B dell’ex Territorio Libero di Trieste

Al fine di comprovare la sussistenza dei requisiti richiesti dall’art. 17 bis, comma 1, lett. a) della legge n. 91/92, allegheranno all’istanza di riconoscimento i seguenti documenti:

a) atto di nascita, possibilmente su modello internazionale;

b) certificato attestante il possesso della cittadinanza straniera;

c) certificato di residenza attuale;

d) certificazione o documentazione idonea a comprovare la loro residenza e la cittadinanza italiana alla data del 3 aprile 1977 (data di entrata in vigore del Trattato di Osimo);

e) attestazione rilasciata da eventuali Circoli, Associazioni o Comunità di italiani presenti sul territorio estero di residenza, dalla quale risulti la data di iscrizione, la lingua usuale dell’interessato e ogni altro utile elemento comprovante la conoscenza della lingua italiana;

f) ogni utile documentazione comprovante l’appartenenza al gruppo etnico italiano come previsto dal succitato art. 3.

I figli o discendenti in linea retta dei beneficiari dell’art.3 del Trattato di Osimoallegheranno all’istanza di riconoscimento della cittadinanza italiana, presentata ai sensi dell’art.17-bis, comma 1 lett. b), i seguenti documenti:

certificazione o documentazione dalla quale risulti il possesso, da parte del proprio genitore o dell’ascendente in linea retta, dei requisiti di cui ai sopracitati punti d-e-f;

certificato di nascita attestante il rapporto di discendenza diretta tra il richiedente e il genitore o ascendente;

certificato attestante il possesso della cittadinanza straniera;

attestazione rilasciata da eventuali Associazioni o Comunità di italiani, presenti sul territorio estero di residenza, dalla quale risulti la conoscenza della lingua e cultura italiane in capo ai richiedenti;

ogni altra utile documentazione idonea a comprovare la conoscenza della lingua e cultura italiane.

Sulle domande si esprime una commissione interministeriale istituita presso il Ministero dell’Interno il quale rilascia un nulla osta qualora il parere sia favorevole.

Perdita della cittadinanza

Il cittadino italiano può perdere la cittadinanza automaticamente ovvero per rinuncia formale.

A. Perde la cittadinanza automaticamente:

1. il cittadino italiano che si arruoli volontariamente nell’esercito di uno Stato straniero o accetti un incarico pubblico presso uno Stato estero nonostante gli venga espressamente vietato dal Governo italiano (art. 12, comma 1 legge n. 91/92);

2. il cittadino italiano che, durante lo stato di guerra con uno Stato estero, abbia prestato servizio militare o svolto un incarico pubblico o abbia acquistato la cittadinanza di quello Stato (art. 12, comma 2 legge n. 91/92);

3. l’adottato in caso di revoca dell’adozione per fatto a lui imputabile, a condizione che detenga o acquisti un’altra cittadinanza (art. 3, comma 3 legge n. 91/92) .

B. Perde la cittadinanza a condizione che vi rinunci formalmente:

1. l’adottato maggiorenne, a seguito di revoca dell’adozione per fatto imputabile all’adottante, sempre che detenga o riacquisti un’altra cittadinanza (art. 3, comma 4 legge n. 91/92);

2. il cittadino italiano, qualora risieda o stabilisca la propria residenza all’estero e se possiede, acquista o riacquista un’altra cittadinanza (art. 11 legge n. 91/92);

3. il maggiorenne che ha conseguito la cittadinanza italiana da minorenne a seguito di acquisto o riacquisto della cittadinanza da parte di uno dei genitori, a condizione che detenga un’altra cittadinanza (art. 14 legge n. 91/92).

La dichiarazione di rinuncia alla cittadinanza è resa, in caso di residenza all’estero, all’Ufficio consolare competente. Essa deve essere corredata della seguente documentazione:- atto di nascita rilasciato dal Comune presso il quale detto atto risulta iscritto o trascritto;

– certificato di cittadinanza italiana;

– documentazione relativa al possesso della cittadinanza straniera;

– documentazione relativa alla residenza all’estero, ove richiesta.

Il minorenne NON perde la cittadinanza italiana se uno o entrambi i genitori la perdono o riacquistano una cittadinanza straniera.

Le donne che dopo il 1° gennaio 1948 abbiano automaticamente acquistato una cittadinanza straniera per matrimonio con cittadini stranieri o per naturalizzazione straniera del marito nato italiano NON hanno perso la cittadinanza italiana. Al fine di consentire le necessarie annotazioni a margine degli atti di stato civile, è necessario che le donne interessate (o i loro discendenti) manifestino ai competenti uffici consolari la volontà di mantenerla, mediante una dichiarazione di possesso ininterrotto.

Doppia cittadinanza

A partire dal 16 agosto 1992 (data di entrata in vigore della legge n. 91/92) l’acquisto di una cittadinanza straniera non determina la perdita della cittadinanza italiana a meno che il cittadino italiano non vi rinunci formalmente (art. 11 legge n. 91/92), salvo disposizioni di accordi internazionali.

La denuncia da parte dello Stato italiano della Convenzione di Strasburgo del 1963 comporta che, a decorrere dal 4 giugno 2010, non si verifichi più la perdita automatica della cittadinanza italiana per i cittadini che si naturalizzano nei Paesi firmatari della stessa (a seguito della denuncia di Svezia, Germania, Belgio, Francia e Lussemburgo, risultano attualmente firmatari l’Austria, la Danimarca, la Norvegia e i Paesi Bassi).

Riacquisto della cittadinanza

1. La disciplina del riacquisto della cittadinanza è contenuta nell’art. 13 della legge 91/92. Si segnala in particolare che il cittadino, residente all’estero, che ha perso la cittadinanza può riacquistarla ai sensi del comma 1, lettera c), previa apposita dichiarazione al competente Ufficio consolare qualora stabilisca la propria residenza in Italia entro un anno dalla dichiarazione stessa;

2. Le donne sposate con stranieri prima del 1° gennaio 1948, che – in virtù del matrimonio – abbiano acquisito automaticamente la cittadinanza del marito, hanno perso la cittadinanzaitaliana e possono riacquistarla, anche se residenti all’estero, con una dichiarazione. La dichiarazione di riacquisto della cittadinanza è resa, in caso di residenza all’estero, all’Ufficio consolare competente.

Essa deve essere corredata della seguente documentazione:

-atto di nascita rilasciato dal Comune presso il quale detto atto risulta iscritto o trascritto;

-documentazione da cui risulti il trascorso possesso della cittadinanza italiana;

-documentazione relativa al possesso della cittadinanza straniera, ovvero allo status di apolidia;

-certificato di situazione di famiglia o documentazione equipollente.

Semplificazione amministrativa

Si ricorda che alla luce degli artt. 43, comma 1, 46 e 47 del DPR 445/2000 (come novellato dalla legge 183/2011) e con i limiti di cui all’art. 3 del citato DPR, le amministrazioni pubbliche italiane sono tenute ad acquisire d’ufficio le informazioni, i dati e i documenti che siano già in possesso della Pubblica Amministrazione, previa indicazione, da parte dell’interessato, degli elementi indispensabili per il reperimento delle informazioni o dei dati richiesti.

Pertanto, in caso di istanze, di acquisto o di rinuncia della cittadinanza presentate da cittadini italiani, UE o extra-UE regolarmente soggiornanti in Italia gli stessi non dovranno produrre certificati riportanti informazioni o dati già in possesso della Pubblica Amministrazione italiana ma dovranno semplicemente riportare nella domanda tutti gli elementi indispensabili per il reperimento di tali informazioni o dati.

Costi

A decorrere dall’8 agosto 2009, le istanze o le dichiarazioni concernenti l’elezione, l’acquisto, il riacquisto, la rinuncia o la concessione della cittadinanza italiana sono soggetti al pagamento di un contributo di 200 euro. A decorrere dall’8 luglio 2014 tutte le istanze di riconoscimento della cittadinanza italiana di persona maggiorenne sono soggette al pagamento di un diritto per il trattamento della domanda di 300 Euro.

 

Fonte: FARNESINA – Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale

Il traduttore freelance o meglio, il professionista della traduzione

traduttori freelance sono il perno su cui si basa il settore della traduzione. Si tratta di professionisti che operano quasi sempre dietro le quinte ma senza i quali il mondo dell’intermediazione linguistica non esisterebbe neppure.
A loro è dovuto il successo delle agenzie di traduzione e dei progetti dei loro clienti.
I principali criteri che determinano la professionalità di un traduttore sono:
> Padronanza della lingua di destinazione scritta
> Padronanza della lingua di partenza
> Conoscenza della cultura dei paesi dove si parlano le due lingue
> Titoli di studio
> Certificazioni da parte di enti riconosciuti
> Esperienza lavorativa nel settore della traduzione
> Esperienza lavorativa in altri settori
> Competenze specialistiche in uno o più settori
> Conoscenze informatiche generali
> Talento nel tradurre
> Velocità di esecuzione
> Affidabilità

Padronanza della lingua di destinazione scritta
I traduttori traducono normalmente verso la loro lingua d’origine. Il primissimo requisito è pertanto saper scrivere in modo corretto nella propria lingua. Un requisito apparentemente scontato ma che in realtà non lo è affatto. Conoscere alla perfezione le regole grammaticali, ortografiche e sintattiche, ed essere in grado di esprimersi con uno stile adeguato al contesto, non è cosa da tutti. È una prerogativa che si acquisisce con anni di studio teorico seguiti da una pratica costante nel corso del tempo.
È evidente che, nella scelta di un traduttore, la padronanza della lingua scritta è un fattore tanto più importante quanto più ci si avvicina alla traduzione editoriale o addirittura letteraria. Nella traduzione tecnica hanno sicuramente più peso abilità di tipo diverso, come la conoscenza specialistica di un determinato settore.

Padronanza della lingua di partenza
Molti credono che per poter essere traduttori basti parlare una seconda lingua. Non è affatto così. Avere un genitore straniero, aver lavorato o studiato per un breve periodo all’estero o aver vissuto anche a lungo in un contesto bilingue, sono fattori sicuramente positivi ma non sufficienti. La traduzione professionale richiede una conoscenza piena della lingua di partenza, non basta esprimersi in modo corretto a livello orale.
Come per la lingua di destinazione, è fondamentale che il traduttore ne conosca alla perfezione la grammatica, l’ortografia e la sintassi. Per raggiungere questo traguardo sono necessari anni di studio e di letture. Solo così si può arrivare a comprendere in tutta la loro finezza certe costruzioni linguistiche particolari come i giochi di parole, i sottintesi, le frasi fatte, le espressioni colloquiali, le metafore, i proverbi.

Conoscenza della cultura dei paesi dove si parlano le due lingue
L’aspetto culturale è fondamentale per tradurre e localizzare un documento o un sito internet in modo corretto. Una traduzione non è una semplice trasposizione di parole da una lingua ad un’altra. Talvolta in un documento sono presenti concetti che non hanno neppure un corrispondente nella lingua d’arrivo. In altri casi, concetti assolutamente normali ed accettati nella lingua di partenza possono risultare offensivi nella lingua di destinazione. Lo stesso dicasi per le immagini. Per evitare di fare errori grossolani traducendo, è importante conoscere a fondo la cultura, la mentalità e i costumi dei paesi dove vengono parlate le lingue oggetto della traduzione. È pertanto imprescindibile aver vissuto a lungo in tutti e due i paesi e continuare a mantenere un legame con entrambi con viaggi piuttosto frequenti.

Titoli di studio
La cultura generale è un altro aspetto importante da valutare nel curriculum di un traduttore. Avere competenze specialistiche in un settore è utilissimo ai fini della traduzione, ma è altrettanto importante possedere anche un valido background culturale costruito in ambito accademico.
Per essere un buon traduttore non è obbligatorio essere laureati, tuttavia, una laurea specialistica è sicuramente un ottimo biglietto da visita .
Altrettanto importanti, e forse ancor di più, sono i titoli di studio universitari e i master specifici del settore della traduzione, anche se non sempre sono dei validi indicatori circa la bravura e la competenza di un traduttore. Spesso, la pratica e il talento riescono a compensare efficacemente la mancanza di studi mirati.

Certificazioni da parte di enti accreditati
Spesso, i traduttori, dopo aver terminato il proprio percorso di studi, conseguono titoli, certificati e attestati di vario genere. Possedere tessere di associazioni di categoria (quali AITI e ANITI, ecc.), non dà molte indicazioni circa l’abilità di un traduttore, ma trasmette comunque un’immagine di serietà professionale. Lo stesso ragionamento vale per registrazioni presso camere di commercio, tribunali ed enti simili, così come per i certificati di esami sostenuti presso associazioni professionali o altre organizzazioni del settore.

Esperienza lavorativa nel settore della traduzione
Un traduttore esperto dà maggiori garanzie poiché ha imparato dagli errori fatti in passato ed è lecito ritenere che non li ripeterà di nuovo. Gli anni di carriera forniscono una chiara indicazione sulla fiducia ricevuta dal mercato in modo continuativo.
I traduttori poco capaci sono quasi sempre meteore, i traduttori in gamba continuano a svolgere questa professione nel corso del tempo, segnale inequivocabile della loro capacità di ottenere reddito e quindi della loro bravura.

Esperienza lavorativa in altri settori
Il traduttore ideale è una persona che ha maturato un’esperienza lavorativa in un settore specifico, ottenendo direttamente sul campo nozioni e competenze difficilmente acquisibili con studi prettamente teorici.
È evidente che aver lavorato a certi livelli in un determinato settore, non è una condizione sufficiente a fare di una persona un buon traduttore, ma chi ha intrapreso questo tipo di percorso, parte sicuramente avvantaggiato rispetto a chi ha lavorato unicamente come traduttore.

Competenze specialistiche in uno o più settori
Per eseguire una traduzione di elevata qualità è necessario conoscere in modo approfondito l’argomento trattato nel documento da tradurre e possedere un ottimo bagaglio terminologico nel settore corrispondente. I modi per acquisire tali competenze sono due: quello teorico e quello pratico. Studiando a fondo una materia è possibile raggiungere livelli di assoluta eccellenza. Tuttavia, come abbiamo accennato nel paragrafo precedente, nei settori che richiedono una preparazione tecnica specifica, l’esperienza acquisita sul campo è la migliore possibile.

Conoscenze informatiche generali
Al giorno d’oggi l’informatica è fondamentale in qualsiasi settore. Anche il campo della traduzione non fa eccezione: è impensabile operare in questo settore senza gli adeguati supporti tecnologici. Per questo motivo, è richiesta la perfetta conoscenza dei principali programmi di videoscrittura, dei fogli elettronici, dei programmi di presentazione, dei database, nonché grande dimestichezza nell’utilizzo dello strumento internet.

Talento nel tradurre
Il talento non è qualcosa che si può acquisire con il tempo né tanto meno lo si può apprendere sui banchi di scuola. È una dote innata che semplicemente si ha o non si ha.
Chi è provvisto di talento lo può affinare nel corso del tempo con lo studio e con il lavoro. Al contrario, chi non ce l’ha, difficilmente potrà diventare un traduttore di successo.

Velocità di esecuzione
In un mondo che viaggia a mille all’ora, non è raro che ci vengano richieste traduzioni urgenti o urgentissime. In questi casi, per venire incontro alle esigenze dei clienti, è necessaria grande rapidità d’azione nell’organizzare il progetto da parte dell’agenzia e grande velocità nell’eseguire il lavoro da parte dei traduttori. Naturalmente, chiunque è consapevole che, riducendo i tempi standard di lavorazione, la qualità del prodotto finale si abbassa. Tuttavia, il traduttore deve fare in modo che, pur abbassandosi, rimanga comunque a un livello elevato. Per questo motivo, un’altro dei fattori che viene preso in considerazione dalle agenzie di traduzione è il mix fra rapidità di esecuzione e qualità di traduzione.

Affidabilità
L’affidabilità è sinonimo di serietà, di passione per il proprio lavoro, di puntualità nelle consegne, di qualità di traduzione, di disponibilità e flessibilità.
Un traduttore affidabile è un professionista che possiede tutte queste prerogative e non tradisce mai.
Per ovvi motivi, l’affidabilità è un parametro impossibile da valutare nel breve periodo, la si costruisce gradualmente nel tempo, traduzione dopo traduzione.

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I traduttori automatici

I traduttori automatici (e i giornalistucoli raccomandati) sono la principale fonte di umorismo del ventunesimo secolo… Conosco delle persone che ci si baloccano per farsi delle grasse risate ed io sono una di quelle, d’altronde come si fa a non ridere davanti a un simile articolo firmato da Paolo Attivissimo e pubblicato sul suo blog?

“Repubblica” colta a usare i traduttori automatici. E pure male

 Questo articolo vi arriva grazie alla segnalazione di RobertGh*.

Questa schermata di Repubblica, tratta da qui, rivela il metodo di lavoro altamente professionale utilizzato dalla redazione: invece di sapere almeno l’inglese, i suoi giornalisti usano i traduttori automatici. E li usano anche male. Prendono la notizia in inglese, la danno in pasto al traduttore automatico, e pubblicano qualunque cosa ne venga fuori. Senza neanche pensarci su, evidentemente. Osservate attentamente la schermata qui sotto (immagine e didascalia). Se siete increduli, ascoltate anche l’audio del servizio.

screenshot

La nonnina supersportiva australiana viene chiamata Dorothy De Basso da Repubblica. Lontane origini italiane? Macché. Guardate come si firma sulla racchetta. Dot (diminutivo di Dorothy) De Low.

E a noi chiedono di delegare a questi mestieranti il compito di informarci su quello che succede nel mondo. Pagandoli per questo privilegio. Spiritosi.

Io aggiungo che magari La Repubblica ha scelto la linea “ridere per non piangere”, e ha deciso di trasformarsi in foglio satirico…

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Gli errori che si fanno traducendo da una lingua all’altra

Mi permetto di riportare nel mio blog un articolo firmato da GIAN LUIGI BECCARIA e pubblicato sulla Stampa che offre tanti punti di riflessione sia al traduttore che non traduttore.

Mundane non è mondano

Traducendo da una lingua all’altra si fanno spesso degli errori per via dei cosiddetti «falsi amici», parole che si assomigliano, che hanno una stessa radice, ma vogliono dire cose diverse: lo spagnolo equipaje è il bagaglio e non un equipaggio, l’ingl. dialect non è il «dialetto», ma va tradotto con «varietà (linguistica)», così come il nostro «dialetto» non va tradotto con l’ingl. dialect, ma con vernacular. A chi tocca vivere per un po’ di tempo all’estero capita spesso di osservare queste false corrispondenze. Ricordo l’esempio di Luigi Meneghello quando nel suo libro Il dispatrio (Milano, Rizzoli 1993) citava l’aggettivo inglese mundane, che «non vuol dire “del mondo”, o “mondano” o “alla moda [del mondo]“, ma “ordinario”, “banale [come il mondo]“. Suppone una distinzione tra le cose rare, celesti, e quelle comunali, terra-terra».

Corrispondenza da una lingua all’altra di solito non hanno le locuzioni idiomatiche, quei modi di dire che vivacizzano e colorano le lingue, e sono anche difficili da apprendere. Ci può essere corrispondenza tra una lingua e l’altra, ma di solito ci sono constatiamo variazioni vistose. Noi diciamo «piove a catinelle» e gli inglesi «piove gatti e cani». E «cadere dalla padella alla brace» in romeno è «cadere dal lago nel pozzo», il nostro «avere grilli per il capo» è «avere calabroni in capo», «cavare il sangue da una rapa» è «cavare acqua dalla pietra secca», mentre «prendere due piccioni con una fava» è, ancora in romeno, «prendere due lepri con un colpo (di fucile)».

Ci sono poi i modi di dire appartenenti all’italiano colloquiale-basso, di origine dialettale-regionale, che non sono traducibili alla lettera in altra lingua: andare in vacca «impigrirsi» o «andare a male» e simili, viene dalla bachicoltura, dove le vacche sono quei bachi da seta che non arrivano a fare il bozzolo, perché si ammalano, si afflosciano, marciscono. Non trovi il corrispondente naturalmente in altre lingue.

La spiegazione dei modi di dire è quasi sempre un rompicapo. Se dico facciamoci una croce, nel senso di «non pensiamoci, non occupiamocene più», si potrebbe pensare alla croce che, per concludere un affare, per risolvere una questione, apponeva su un atto notarile chi non sapeva scrivere. Ma il significato dell’espressione è anche «lasciare per sempre una cosa, abbandonarla, promettere che non la si farà più, non volerne più sapere». Quindi potrebbe benissimo evocare il segno della croce che cancella, che annulla, o magari al gesto della croce cristiana quale segno della morte. Chissà!

(fonte: Tuttolibri, in edicola sabato 10 settembre)

Dichiarazione di valore dei titoli di studio stranieri

Numerosi clienti mi hanno chiesto non solo la traduzione giurata e corredata di Apostille in lingua italiana del loro diploma  ma, anche la dichiarazione di valore. Per correttezza ho fatto presente che la dichiarazione di valore del diploma viene rilasciata solo dalle autorità italiane presenti nei Paesi in cui i titoli sono stati rilasciati. Sono rimasta stupita quando il cliente ha richiamato poi per spiegarmi che tale dichiarazione si poteva ottenere anche in Italia dai traduttori. Miracolo! Secondo alcuni traduttori, basta fare una telefonata all’istituto che ha emesso il diploma per sentirsi autorizzati ad aggiungere di loro pugno sulla traduzione “Dichiaro che il presente diploma ha valore…”  o altro. Che dire? Non è solo un abuso ma, è anche un falso in atto pubblico! Anche se per mera ignoranza alcuni istituti accettano tali documenti, altri no, motivo per cui ho deciso di riportare dal sito “Studiare in Italia” un articolo redatto da MIUR (Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca) in collaborazione con CIMEA e potenziato da CINECA.

Dichiarazione di valore in loco (DV)

Come è previsto dalla prassi internazionale in materia di riconoscimento-titoli, le università italiane verificano:

  • lo stato giuridico dell’istituzione che ha rilasciato un dato titolo straniero;
  • se il titolo stesso è autentico;
  • se appartiene al sistema educativo nazionale del Paese che lo ha rilasciato;
  • i diritti accademici e/o professionali che il titolo conferisce nel Paese di riferimento.

Per poter procedere a tali verifiche, occorrono fonti e strumenti informativi adeguati; fra quelli disponibili, le istituzioni italiane spesso preferiscono la cosiddetta “Dichiarazione di Valore” (DV), in quanto emessa da autorità italiane presenti nei Paesi in cui i titoli sono stati rilasciati. Il compito di redigere la DV è infatti assegnato alle competenti Rappresentanze diplomatiche italiane all’estero; in particolare, secondo le più recenti disposizioni (2007), tale compito è riservato esclusivamente alle Ambasciate e ai Consolati (e perciò non delegabile agli Istituti Italiani di Cultura).

La DV è un documento ufficiale, scritto in lingua italiana, che descrive sinteticamente un dato titolo di studio conferito a una determinata persona da un’istituzione appartenente a un sistema educativo diverso da quello italiano. E’ un documento di natura esclusivamente informativa, e quindi non costituisce di per se alcuna forma di riconoscimento del titolo in questione; generalmente fornisce le informazioni qui elencate, utili per la successiva valutazione del titolo da parte delle autorità italiane competenti per le varie modalità di riconoscimento legale dei titoli esteri:

  1. stato giuridico e natura dell’istituzione rilasciante;
  2. requisiti di accesso al corso di studio conclusosi con quel titolo;
  3. durata legale del corso di studio e/o impegno globale richiesto allo studente in crediti o in ore;
  4. valore del titolo nel sistema/Paese che lo ha rilasciato, ai fini accademici e/o professionali.

Se ancora non sei in possesso della DV sul tuo titolo di studio secondario o di istruzione superiore, devi farne domanda alla Rappresentanza diplomatica italiana competente per territorio, allegando i seguenti documenti:

  • titolo estero in originale;
  • traduzione legale in italiano del titolo stesso.

Le Rappresentanze diplomatiche italiane rilasciano la DV utilizzando moduli differenti a seconda del tipo di corso e di istituzione a cui sono interessati i singoli candidati:

  1. Iscrizione a un’università:
    • Modello E, se il candidato è interessato a un CL (studi di 1° ciclo) o a un CLSu/CLMu (studi di 2° ciclo in medicina, odontoiatria, ecc.);
    • Modello L, se il candidato è interessato a un CLS/CLM (studi di 2° ciclo, ma in campi disciplinari diversi da in medicina, odontoiatria, ecc.).
  2. Iscrizione a un’istituzione Afam:
    • Modello E bis, se il candidato è interessato a un CDA1 (studi di 1° ciclo);
    • Modello L bis, se il candidato è interessato a un CDA2 (studi di 2° ciclo).

RICORDA

  • Nel caso che il titolo di studio sia stato rilasciato da un Paese la cui legislazione ne prevede la legalizzazione, le Rappresentanze diplomatiche italiane emettono la DV solo dopo che il titolo è stato legalizzato da parte dell’autorità competente di quel Paese (vai a Legalizzazione documenti).
  • Prima di emettere una DV, le rappresentanze diplomatiche italiane di norma controllano l’autenticità del titolo in questione.
  • La DV è utile a facilitare sia il riconoscimento, accademico o professionale, dei titoli di studio che l’inserimento nel mercato del lavoro (per es. quando si vuole lavorare in un settore privato evitando le procedure dell’equipollenza).

Fonte http://www.studiare-in-italia.it/studying/info-07.html

Quindi, è un documento ufficiale, scritto in italiano, che dà informazioni su un dato titolo di studio conseguito all’estero e sul suo valore nel Paese che lo ha rilasciato (ufficialità o meno dell’istituzione erogante, requisiti di accesso al relativo corso di studi, durata del corso, ecc.).
Tale Dichiarazione viene emessa dalle Rappresentanze Diplomatiche italiane all’estero (Ambasciate/Consolati) competenti per zona: per competente per zona si intende la Rappresentanza Diplomatica italiana più vicina alla città dell’istituzione che ha rilasciato il titolo straniero.

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GUIDA (non ufficiale) AL RICONOSCIMENTO DELLA PROFESSIONE DI INSEGNANTE IN ITALIA PER GLI ABILITATI CON TITOLO PROFESSIONALE CONSEGUITO IN UNIONE EUROPEA

ai sensi della Direttiva 2005/36/CE e del Decreto Legislativo  6 Novembre 2007, n. 206

I. Documenti di riferimento

–          Direttiva 2005/36/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 7 settembre 2005 che regolamenta il riconoscimento delle qualifiche professionali nell’ambito degli Stati membri  dell’Unione Europea, ratificata dall’Italia con Decreto Legislativo  6 Novembre 2007, n. 206

–          Decreto Legislativo  6 Novembre 2007, n. 206 “Attuazione della direttiva 2005/36/CE relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali, nonché della direttiva 2006/100/CE che adegua determinate direttive sulla libera circolazione delle persone a seguito dell’adesione di Bulgaria e Romania “;

II. Introduzione

Con il  decreto legislativo del 6 novembre 2007, n. 206, l’Italia ha ratificato la  Direttiva Europea 2005/36/CE relativa al sistema di riconoscimento delle qualifiche professionali conseguite all’interno dell’Unione Europea.

Tra queste, quella relativa all’insegnamento, che in Italia, come nel resto dell’U.E. è una professione regolamentata, ovvero può essere svolta solo previa acquisizione di idoneità o abilitazione.

Gli effetti di tale riconoscimento sono quelli previsti:

1)     dall’art. 4, comma 1 della citata Direttiva, ovvero: “Il riconoscimento delle qualifiche professionali da parte dello Stato membro ospitante permette al beneficiario di accedere in tale Stato membro alla stessa professione per la quale è qualificato nello Stato membro d’origine e di esercitarla alle stesse condizioni dei cittadini dello Stato membro ospitante.”

2)     Dall’art. 3, comma 1 del Decreto Legislativo  6 Novembre 2007, n. 206, ovvero: : “Il riconoscimento delle qualifiche professionali operato ai sensi del presente decreto legislativo permette di accedere, se in possesso dei requisiti specificamente previsti, alla professione corrispondente per la quale i soggetti di cui all’articolo 2, comma 1, sono qualificati nello Stato membro d’origine e di esercitarla alle stesse condizioni previste dall’ordinamento italiano.”

Questo significa che, una volta completato e superato l’iter necessario al riconoscimento, il titolo professionale conseguito in uno degli altri Stati U.E. è equiparato in tutto e per tutto a quello conseguito nello Stato ospite, consentendo all’interessato di svolgere la professione riconosciuta alle stesse modalità dei colleghi in possesso di qualifica professionale conseguita in Italia.

In ottemperanza a ciò, l’Italia ha previsto che anche i docenti abilitati in Europa possano accedere alla III fascia delle Graduatorie ad Esaurimento e alla II fascia delle Graduatorie di Istituto.

L’Autorità italiana competente per il riconoscimento delle qualifiche di insegnante nella scuola primaria e secondaria di I e II grado è il Ministero dell’Istruzione Università e Ricerca – Direzione Generale per gli Ordinamenti del Sistema Nazionale di Istruzione e l’Autonomia Scolastica – Ufficio IX

III. Le premesse al riconoscimento

Il requisito fondamentale per poter presentare domanda di riconoscimento in Italia di titolo professionale di docente conseguito in uno Stato membro dell’U.E. è l’essere in possesso di un titolo di studio post-secondario e della necessaria formazione di carattere didattico-pedagogico, conseguiti in Stati U.E. e abilitanti nello Stato di origine all’insegnamento.

E’ perciò requisito fondamentale essere già in possesso di regolare idoneità/abilitazione nello Stato di origine, trattandosi di riconoscimento di tipo professionale e non di equipollenza di un titolo di studio.

La procedura descritta  si riferisce ESCLUSIVAMENTE a titoli conseguiti negli Stati dell’Unione Europea e quindi regolati dalla Direttiva 2005/36/CE. Per titoli conseguiti in Stati stranieri è necessario contattare il Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca  e richiedere la procedura specifica che fa riferimento alla normativa di carattere nazionale.

La professione di insegnante in Italia si articola nelle “classi di concorso”, ovvero nell’elenco di discipline ed insegnamenti che il Ministero predispone e assegna ai vari ordini di scuola.

L’elenco delle classi di concorso vigenti è disponibile nei siti del Ministero. Trattandosi di normativa in evoluzione, è consigliato far riferimento al Ministero.

Prima di procedere alla domanda di riconoscimento è, quindi,  necessario individuare le classi di concorso dell’ordinamento italiano che più corrispondono alla propria formazione professionale posseduto.

E’ inutile, ad esempio,  presentare domanda di riconoscimento qualora si possieda un titolo professionale che consente, nel proprio Stato di origine,  l’insegnamento di una disciplina non presente nell’ordinamento italiano, Ad esempio, non è applicabile la procedura nel caso in cui l’interessato sia in possesso di una abilitazione all’insegnamento della lingua svedese, non essendo previsto tale insegnamento in Italia.

Come disposto dalla Direttiva, lo stato ospitante deve valutare le domande pervenute, verificare se il richiedente è in possesso dei requisiti richiesti e può, in caso, prevedere misure compensative nella forma di esami da sostenere o tirocinio di adattamento. E’ inoltre prevista la certificazione di una competenza linguistica tale da permettere di insegnare la propria disciplina nelle scuole italiane.

Si consiglia comunque di rivolgersi al Ministero per avere conferma di quanto riportato nel presente documento che potrebbe non tener conto di eventuali aggiornamenti o modifiche procedurali.

IV. Documentazione necessaria al riconoscimento

A) Modulo di domanda in bollo compilato in tutte le sue parti.

B) Documenti comprovanti l’abilitazione nello Stato di origine, ovvero:

  1. titolo di studio di livello universitario
  2. certificato attestante gli esami sostenuti con relative valutazioni, valutazione finale, scala di riferimento. E’ utile presentare, se disponibile, il Diploma Supplement
  3. certificati attestanti la formazione di carattere pedagogico (se non inclusa nel piano di studi di cui al punto 2) con relativi esami sostenuti
  4. dichiarazione di conformità alla Direttiva 2005/36/CE rilasciata dall’Autorità dello Stato di origine da cui risulti:
    1. che il titolo professionale conseguito ha valore giuridico nello Stato di origine
    2. che non è stato oggetto di revoca o annullamento
    3. quali sono le discipline di insegnamento oggetto dell’abilitazione e per quali gradi di scuola (es. matematica nella scuola secondaria di II grado)

Tutti i citati documenti devono essere accompagnati da traduzione in lingua italiana asseverata presso il Tribunale. Non è richiesta la legalizzazione consolare né l’Apostille.

Si raccomanda di non spedire gli originali ma una loro copia conforme con allegata  traduzione asseverata.

NOTA: non si deve allegare la cosiddetta “dichiarazione di valore in loco” rilasciata dai consolati italiani la quale non è più richiesta per i titoli conseguiti negli Stati U.E. e non ha alcuna utilità ai fini del riconoscimento professionale
C) Documenta attestante la competenza della lingua italiana, a titolo esemplificativo:

  1. il superamento dell’esame CELI 5 DOC presso l’Università per stranieri di Perugia
  2. una laurea conseguita in Italia
  3. un ciclo completo di istruzione svolto in una scuola in Italia o all’estero dove l’italiano è lingua primaria di insegnamento

Per approfondimento: si rimanda all’allegata Circolare Ministeriale n. 39 del 2005 che norma i requisiti di competenza della lingua richiesti per l’insegnamento.

La documentazione va prodotta in copia conforme.
D) Documenti attestanti l’eventuale esperienza professionale, come titoli di servizio (opportunamente legalizzati e tradotti se svolti in altri Stati) in copia conforme.

Nota: i servizi svolti in scuole dell’U.E. possono produrre punteggio in graduatoria, quindi è buona cosa inviare solo copie conformi dei certificati e trattenere gli originali per usi futuri.
E) curriculum vitae completo (preferibilmente in formato Europass)
F) copia di un documento di identità

Allegare ogni altro documento utile a comprovare la professionalità e l’esperienza maturata, come ad esempio studi successivi, master, ecc. Se svolti all’estero devono essere accompagnati da traduzione asseverata.

V. Come si svolge la procedura

Dopo l’invio dei documenti, la procedura richiede complessivamente circa 4 mesi, salvo il caso in cui la documentazione prodotta risulti insufficiente.

Entro 30 giorni, comunque,  l’Autorità italiana ha facoltà di richiedere eventuali integrazioni della documentazione.

Ha altresì il compito di verificare presso l’Autorità dello Stato d’origine la veridicità della documentazione prodotta. La presentazione di eventuali dichiarazioni mendaci o documentazione falsa o alterata, oltre a bloccare la procedura di riconoscimento,  può produrre sanzioni di carattere penale.

Tutta la documentazione verrà sottoposta alla valutazione  di una Conferenza di Servizi.
La procedura si conclude con:
– un decreto di riconoscimento incondizionato per una o più classi di concorso qualora dalla documentazione e dalla valutazione emerga una formazione ed un’esperienza completa;
– un decreto di riconoscimento condizionato dal superamento di eventuali misure compensative quali prove scritte o orali o tirocinio di adattamento, superate le quali si ottiene il riconoscimento incondizionato;
– un comunicazione di diniego qualora la richiesta non trovi corrispondenza all’ordinamento italiano, ad esempio si richieda un riconoscimento come “insegnante di lingua svedese” non essendovi alcuna classe di concorso corrispondente nell’ordinamento italiano o l’interessato non possa dimostrare l’abilitazione conseguita nello Stato di origine.
Qualora venga emesso un decreto incondizionato, esso sarà pubblicato nella gazzetta ufficiale e costituirà titolo di abilitazione all’insegnamento per una o più classi  di concorso indicate nel decreto.

Tale documento andrà allegato in copia semplice autocertificata, assieme al titolo professionale oggetto di riconoscimento (e sua traduzione) alle richieste di inserimento in graduatoria.

L’abilitazione così ottenuta permette, inoltre, di insegnare nelle scuole paritarie e operare come formatore (se previsto) nella formazione professionale gestita dalle Regioni.

 

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Regole per la buona traduzione

Introduzione

Lo scopo di questo documento è quello di delineare un insieme di linee guida alle quali cercare di attenersi quando si traduce un documento tecnico, un HOWTO, delle pagine di manuale o i messaggi di un programma, in seguito all’impegno di molti volontari in anni di traduzioni e revisioni sulle liste dei traduttori.

Ovviamente i destinatari principali di questo documento sono i novelli traduttori che si cimentano per le prime volte con le traduzioni di documenti tecnici, ma può anche servire per stabilire una base comune di regole su cui i traduttori più esperti possano fare affidamento.

È da tenere ben presente che queste regole non sono una verità rivelata, ma sono il frutto di discussioni avvenute negli anni e, pertanto, non pretendono di essere considerate assolute. Piuttosto, la validità di una traduzione non deve essere una condizione binaria, bensì un continuo di sfumature che attraversano l’intero spettro di verità.

La forma

  • Termini stranieri

    I termini stranieri vanno sempre lasciati nella loro forma pura, priva di flessione. Non debbono venire coniugati neppure al plurale, restando sempre nella loro forma singolare: questo è per evitare problemi con vocaboli dotati di plurale irregolare (“mouse” – “mice”) o con lingue poco conosciute (“kamikaze”, “pasdaran”, ecc.).

    Lo stesso trattamento va riservato per le forme terminanti in -ing, in cui va lasciato solo l’infinito del verbo.

    es. “Eseguire il link” invece che “Eseguire il linking”.

    Per quanto riguarda il genere, il termine assume quello che avrebbe se tradotto in italiano oppure quello che suona meglio dandogli un significato italiano. In caso di dubbio è consigliabile rifarsi all’uso comune (sempre che ne esista uno).

    es. “Ho comprato due mouse”, “Mandami i tuoi file”.

Rivolgersi all’utente

Mentre i testi inglesi usano solitamente rivolgersi direttamente al lettore, in italiano è una cosa da evitare in ogni modo, essendo preferibile usare forme impersonali per esprimere gli stessi concetti. Detto ciò, è anche necessario limitare l’uso del “si” impersonale, il quale tende a rendere le frasi pesanti e poco scorrevoli, privilegiando l’uso dell’infinito.

Esclamative e interrogative

Domande retoriche, frasi esclamative o interrogative e forme colloquiali sono da evitare, cercando di usare al loro posto una forma affermativa impersonale, che conferisce al programma un tono più professionale o, perlomeno, distaccato.

  • Traduzione letterale

    Compito del traduttore è di cercare di rimanere il più possibile fedele all’originale: questo non significa necessariamente tradurre letteralmente, bensì cercare di rendere perfettamente quanto esposto del documento originale. Più la traduzione è vicina all’originale, tanto questa è migliore, ma tale vicinanza non deve verificarsi a scapito della forma o della correttezza: a causa del diverso modo di costruire le frasi nelle varie lingue, spesso è da considerare migliore una traduzione che si distacca dall’originale ma è più scorrevole o più elegante.

  • Tradurre, non spiegare

    Questa è una massima valida per tutte le traduzioni tecniche. Una traduzione deve cercare di rendere esattamente ciò che è espresso dall’originale, senza sforzarsi di renderlo più chiaro o meno ambiguo, a meno di errori nell’originale che vanno corretti e segnalati agli autori.

    Ciò non vuol dire che le traduzioni debbano essere necessariamente letterali (anche se questo può essere comunque considerato un pregio): semplicemente non è compito del traduttore fare precisazioni su un testo ambiguo.

    Talvolta ciò può accadere in modo inevitabile per diversità della lingua: ad esempio il termine “free software” in italiano diviene “software libero”. Con una tale traduzione, tuttavia, diviene pressoché impossibile tradurre anche la precisazione che spesso viene fatta tra gli anglofoni: “free as in speech, not as free beer”.

    È per evitare casi come questi che il lavoro del traduttore non comprende la chiarificazione di un testo poco chiaro nella sua forma originale: in tali casi il comportamento migliore sarebbe quello di contattare l’autore originale e far presente che il testo contiene delle parti dubbie, sollecitandolo a chiarirle.

  • Traduzione di termini tecnici

    • Tradurre, non spiegare

      Anche per i singoli termini vale questa regola: bisogna guardarsi dal precisare più di quanto il termine stesso dica, onde evitare spiacevoli malintesi. Anche per questo una traduzione deve essere succinta, onde evitare di implicare più di quanto non sia necessario.

    • Non sorprendere gli utenti esperti

      Quando si trova davanti alla traduzione di un termine, un utente esperto deve trovarla naturale e deve poter risalire subito al termine originale.

      I tecnici generalmente conoscono il termine originale, pertanto la traduzione non deve essere fuorviante o più difficile da leggere di quest’ultimo, altrimenti è meglio lasciare il termine invariato.

      È da evitare soprattutto l’introduzione di termini arbitrari, in quanto questi rischiano di essere diversi da un testo all’altro, confondendo il lettore.

    • Corrispondenza 1:1

      Una traduzione tecnica deve essere l’unica traduzione possibile di un termine, in quanto il suo significato è talmente preciso e ben delimitato che chi la legge si aspetta di trovarla sempre uguale, come sempre uguale è il concetto che essa esprime.

      Oltre ad essere l’unica traduzione possibile di un termine, la buona traduzione traduce solo quel termine e non può essere confusa con null’altro, in modo che il termine originale e quello tradotto siano perfettamente equivalenti.

    • Autosufficienza

      Una buona traduzione non deve richiedere spiegazioni poste tra parentesi o di giri di parole per poter essere utilizzata; deve, anzi, fare in modo che non sia affatto necessario rigirare la frase originale.

    • Riconoscibilità

      Una buona traduzione deve essere riconoscibile da un tecnico in quanto la parola tradotta (in ordine di importanza):

      1. è comunemente usata dai tecnici del settore;
      2. traduce l’originale in maniera semanticamente fedele;
      3. traduce l’originale in maniera letteralmente fedele;
      4. assomiglia all’originale.

     

    • Eleganza

      Per essere una buona traduzione, la traduzione deve essere elegante in italiano: molte traduzioni per altri motivi molto valide sono pressoché inutilizzabili a causa della loro bruttezza e goffaggine.

    • Coerenza

      Effettuando una traduzione bisogna sforzarsi di restare omogenei con le traduzioni già fatte, in quanto traduzioni non coerenti tra loro diventano facilmente fonte di confusione per l’utente.